“In Africa, in Asia, nell’America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi e perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’esser fatti eguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell’umanità. [.]”
“[..] E’ solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero non importa”
Sono tante le provocazioni e le verità sulla scuola italiana
degli anni 60 – ma ancora oggi fortemente attuali - descritte in modo
indelebile nel meraviglio volumetto dei ragazzi di Barbiana: Lettera a una Professoressa, l’opera più matura scaturita dal metodo della
scrittura collettiva.
Un’impietosa critica della scuola pubblica e
soprattutto dei metodi e dell’agire degli insegnanti, quasi fossero i primi
responsabili di una scuola classista e paragonata a “un ospedale che cura i
sani e respinge i malati”.La scuola italiana non fu più la stessa: un’intera generazione di studenti e insegnanti visse e praticò i valori della scuola per tutti.
“Decine di migliaia di maestre e maestri, migliaia di insegnanti di scuola media inferiore, moltissimi insegnanti degli istituti tecnici e professionali, perfino alcuni insegnanti di liceo e di università cambiarono modo di insegnare scossi dalle proposte e dall’esperienza dei ragazzi di Barbiana.” (Tullio De Mauro).
Lettere a una Professoressa, così come
altri testi della scuola di Barbiana, nasce da “un motivo occasionale”: la
bocciatura di due ragazzi, che volendosi dedicare all’insegnamento si
presentano in una scuola di Firenze per sostenere l’esame come privatisti al
primo anno delle magistrali. Furono entrambi respinti in modo umiliante.
Per
la Scuola di Barbiana fu un duro colpo. In dieci anni di vita mai i suoi
ragazzi erano stati umiliati in modo così forte, eppure ogni anno si
presentavano alla scuola di Stato per sostenere gli esami da privatisti per le
medie e tutti li superavano brillantemente. Alcuni di questi ragazzi erano stati
preparati proprio da questi respinti.L’anno successivo i due ragazzi si ripresentarono a Firenze agli esami e vennero respinti di nuovo “da una professoressa che aveva la vocazione a fare il giudice e il boia”. “I ragazzi di cui le parlai – è don Milani che scrive ad un professore di un Istituto magistrale del Piemonte – sono stati duramente bocciati anche quest’anno […]. Nel frattempo stiamo lavorando già da tre mesi alla vendetta. Penso che tra un paio di mesi sarà pronta. E’ una lettera aperta a una professoressa bocciatrice. I ragazzi ci lavorano con una passione particolare”.
Il lavoro iniziato dopo la disavventura della doppia bocciatura dei due ragazzi di Barbiana sfociò l’anno successivo, maggio 1967, nella pubblicazione del libro che è poi diventato il manifesto del rifiuto di qualunque forma di selezione e dell’impegno per la trasmissione dei saperi critici.
Il libro e l’esperienza di Barbiana divennero subito l’orizzonte di migliaia di giovani studenti, insegnanti e operatori sociali, intercettando le attese di un profondo cambiamento della scuola e dell’educazione, per una democrazia compiutamente realizzata.
Con le sue novità, con le sue accuse, con i suoi argomenti stringenti, precisi e documentati, con le sue proposte e il suo linguaggio semplice ha saputo dire a tutti verità che molti intuivano, ma che pochi riuscivano ad esprimere.
In questi quaranta anni, dal maggio 1967, non vi è stato convegno scolastico dove Lettera a una Professoressa non abbia fatto sentire la sua presenza di novità e di “canto di fede nella scuola” e di grido per “una scuola di tutti e di ciascuno”.
“Lettera a una Professoressa
– evidenzia Bruno Becchi, insegnate, storico, autore di diversi testi
sull’esperienza di Barbiana e su don Milani - rappresenta il manifesto teorico
di un progetto educativo pratico, originale e lungimirante; un’opera che ha
contribuito enormemente ad alimentare quel confronto di idee che ha
accompagnato la riforma della scuola media dei primi anni sessanta. Si tratta
di un dibattito che ha prodotto anche tentativi di attuazione di alcuni aspetti
metodologici riconducibili più o meno direttamente all’esperienza di Barbiana;
è il caso, ad esempio, delle prove di scrittura collettiva realizzate qua e là
da qualche insegnante o dei primi esperimenti di lavoro di gruppo in classe
oppure di doposcuola prima e di tempo pieno poi.
Un
patrimonio di idee e di esperienza a cui bisogna attingere e che indica
un itinerario chiaro da percorrere per potersi avvicinare ad un sistema di
istruzione che permetta a tutti di esprimere la propria individualità senza
cadere nell’individualismo; che garantisca il rispetto della persona e delle
sue peculiarità, compresa quella dimensione di soggetto sociale che deriva
dall’essere elemento facente parte di una collettività”.
Il testo e l’esperienza dei ragazzi di Barbiana è ricco di proposte
educative e didattiche molto innovative ed
attuali: la lettura del giornale, la scrittura collettiva, il valore formativo
e culturale degli stage all’estero e delle visite, la centralità
dell’apprendimento delle lingue
straniere, in primis la lingua italiana, l’apprendimento cooperativo e il
lavoro di gruppo, l’educazione alla mondialità ed alla interculturalità, il
riconoscimento della funzione didattica del cinema, il rilievo assegnato
all’attività operativa e alle discipline tecnico pratiche e molti altri ancora.
Centrale, tuttavia, rimane la richiesta di una scuola per tutti, in cui
poter essere protagonisti e partecipi, liberi e consapevoli nell’impegno a
maturare una coscienza sociale e politica, democratica e solidale. In cima rimase sempre il principio della solidarietà e la scelta dell’impegno sociale, il valore di una scuola capace di offrire ideali alti in contrapposizione ad un sapere egoistico e realizzato per se stessi e per il proprio successo. “[…] Il priore ci propone un ideale più alto. Cercare il sapere solo per usarlo a servizio del prossimo, per esempio dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato o all’apostolato. […]
Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare. Perciò qui le lingue sono, come numero di ore, la materia principale.
Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibili, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.
Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre”. (Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena, 1963).
Se numerosi e in positivo, sono stati i cambiamenti indotti dalla denuncia
e dalle proposte di Lettera a una Professoressa, niente è cambiato da allora
rispetto all’essere una scuola selettiva e classista.
“La scuola ha un problema solo – evidenziava Lettera a una
Professoressa - I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno.
A questo punto gli unici incompetenti siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.
[…] Le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni (il protagonista principale della Lettera “Un ragazzo di 14 anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno. […] E’ venuto su a Barbiana perché noi ignoriamo le sue bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età”) ce ne sono milioni e che voi siete o stupidi o cattivi.
(E qui viene presentato un grafico, che assume la forma di una piramide, degli iscritti alle scuole: dall’elementari all’università).
[…] La piramide abbiamo preferito tenerla qui. È un simbolo che si imprime negli occhi.
Dalle elementari in su sembra tagliata a colpi d’ascia. Ogni colpo una creatura che va a lavorare prima di essere eguale.”
La stessa piramide, fatta oggi (è stata realizzata in forma comparata da una ricerca dell’Osservatorio scolastico di Pisa in occasione del 40-esimo anniversario della Lettera), evidenzia una struttura addirittura rovesciata nella scuola di base, a testimonianza di un abbandono ormai statisticamente trascurabile fino ai 14 anni.
La scuola superiore, invece, vede un progressivo abbandono nel passaggio dalla prima alla quinta (dell’ordine del 30%, media nazionale).
Notevolmente aumentato è il numero di iscritti all’università, specie delle donne anche se li l’abbandono raggiunge livelli notevoli.
L’accusa, supportata dai dati pubblicati dalla Lettera a una Professoressa, alla scuola, era di essere classista nel senso che puniva di più con la selezione, i figli di genitori con professioni più “umili”, in particolare i figli di operai e contadini. Questi ultimi rappresentavano allora una consistente fetta della popolazione attiva, specialmente nelle zone dove operava la scuola di Barbiana.
I dati dell’analisi, dell’Osservatorio scolastico di Pisa, su professione e titolo di studio dei genitori e successo scolastico dei figli, sembra confermare che da questo punto di vista la scuola non è cambiata, rispetto ad allora.
È vero che la quasi totalità degli alunni arriva ad ottenere la licenza media, ma nel mondo di oggi, essa rappresenta l’equivalente della licenza elementare di allora dato che il nostro Paese per mantenere i livelli di sviluppo economico attuale, richiede ormai che la totalità dei nostri giovani arrivi al diploma di scuola superiore, mentre oggi siamo ancora al 70% dei diplomati rispetto alla leva degli studenti.
Il successo scolastico e la scuola superiore scelta dagli studenti, sono fortemente influenzati dal grado di istruzione della famiglia, proprio come allora. Le ricerche dell’Osservatorio scolastico di Pisa evidenziano che il giudizio di uscita dalla scuola media, strettamente legato ai destini scolastici nella scuola superiore, è fortemente legato al titolo di studio dei genitori. L’insuccesso scolastico è almeno cinque volte superiore per i figli di genitori con basso titolo di studio, rispetto ai figli di genitori laureati.
Anche l’orientamento nella scelta della scuola superiore è fortemente influenzato dall’istruzione della famiglia,. Il 75% dei figli di laureati si iscrive ai licei, mentre a tali scuole va solo il 13% dei figli di genitori che hanno la licenza elementare o media.
La scuola non è cambiata, rispetto ad
allora.
“I
ragazzi di don Milani – dice Lucio Guasti, docente di didattica generale
all’università Cattolica di Milano - non hanno chiesto di parlare di loro, ma
di fare quello che hanno fatto loro per riscattarsi, hanno tracciato un disegno
della scuola italiana che, a quarant’anni di distanza, fa ancora discutere.
Hanno trovato il metodo giusto, quello della partecipazione comune ad una
ricerca significativa che coinvolgesse la vita e la responsabilità degli stessi
partecipanti. Alla vecchia pseudometafisica concettualizzante della scuola hanno sostituto la vita, la loro vita, la
loro esperienza, il loro domani: “[…] c’è poco nella vostra scuola che serva
alla vita”. Questo chiedono alla scuola di oggi: di avere il coraggio di una
scelta; il coraggio di credere che tutti possono apprendere e non solo alcuni,
che il destino non è il padrone della vita ma che si può modificare l’atto di
nascita”.
Non è facile, tuttavia, comparare in maniera ampia e
completa, la scuola italiana ai tempi dell’esperienza di Barbiana e la scuola
di oggi e soprattutto è tema questo, troppo ampio, da poter completare in un
articolo. Un altro passo da fare per andare ancora più a fondo degli argomenti,
e tutti noi possiamo farlo, è quello di leggere attentamente, anche solo qua e
là, Lettera a una Professoressa, e
provare - nel confronto continuo con la propria esperienza di alunno o alunna e
di genitore - a farsi un’idea di cosa veramente è cambiato o di quanta strada
ancora occorre fare, per arrivare a un sistema scolastico che garantisca le
pari opportunità e un cammino uguale a tutte e a tutti, capace di portare tutti
i ragazzi a un livello culturale tale da renderli realmente sovrani e partecipi
della vita sociale e politica di una società democratica.
“[…] Nelle vostre scuole i ragazzi giorno per giorno
studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si
distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia , scienze, tutto
diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse
individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi,
stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle vostre scuole
bisognerebbe essere arrivisti a dodici anni. A dodici anni gli arrivisti sono
pochi. Tant’è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola.”
“[…] A Barbiana leggevamo il giornale ogni giorno, ad
alta voce, da cima a fondo. Politica e cronaca, cioè le sofferenze degli altri valgono più dei vostri programmi.”
“[…] Secondo me le classi dovrebbero essere più
decorate, più armoniose, con le pareti dipinte di un verde spendente che a
guardarlo ti viene da pensare ad un prato, alla tranquillità e alla serenità.
Così che tutti non avrebbero la paura e l’ansia di stare a scuola”.
“[…] Se ognuno di voi sapesse che ha da portare
innanzi ad ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe
l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo
che impara tutte le materie. O meglio, multa per ogni ragazzo che non ne impara
una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo
sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo eguale agli altri.
Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato,
come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso
su di lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura suo.
Andreste a cercarlo a casa se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola
che perde Gianni non è degna di essere chiamata scuola.“
“[…] Ho saputo minuto per minuto perché studiavo. Il
fine giusto della scuola è dedicarsi al prossimo. […] Il fine immediato da
ricordare minuto per minuto è di intendere gli altri e di farsi intendere. […]
Gli uomini hanno bisogno di amarsi anche al di là delle frontiere.”
“[…] Solo i
figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli
accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo
che sarà un momento, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è
più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono
più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare.”
“[…] Perché
il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme.
I - Non
bocciare.
II - A quelli
che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno.
III - Agli svogliati basta dargli uno scopo.”
(da Lettera a
una Professoressa).
aprile 2008
Bibliografia essenziale:
Lettera a una
Professoressa
(quaranta anni dopo) a cura di Michele Gesualdi, Fondazione don Lorenzo Milani.
Libreria editrice fiorentina, 2007
Lettere di don
Lorenzo Milani,
a cura di Michele Gesualdi, Mondadori, 1970
Vita del Prete
Lorenzo Milani,
Neera Fallaci, Bur Supersaggi, 1993
Don Milani, Chi era costui?, Giorgio
Pecorini, Baldini&Castaldi, 1996
Nessun commento:
Posta un commento