La nascita e la diffusione del welfare state è la vera grande idea del XX secolo. Come viene a
scontrarsi oggi con le esigenze di una società liberista? E la crisi è solo
conseguenza dei residui di una cattiva politica?
La nascita e la diffusione dello “Stato sociale" o welfare state è la vera grande idea del ventesimo secolo, nata dentro l'economia di mercato dei Paesi europei. L'idea cioè che parte delle risorse prodotte dallo sviluppo economico dovesse essere indirizzata verso la costruzione di una rete di protezione sociale, mirata soprattutto a proteggere i più deboli, da un punto di vista della sanità, dell'istruzione, della previdenza, dell'occupazione. Uno Stato cosiddetto sociale o di benessere, che fosse capace di coniugare giustizia sociale ed efficienza economica e base per un più equilibrato sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese.
Il welfare state è uno Stato - secondo la definizione classica - in cui il potere organizzato è usato deliberatamente nello sforzo di modificare il gioco delle forze di mercato in almeno tre direzioni: in primo luogo, garantendo agli individui e alle famiglie un reddito minimo senza che sia considerato il valore di mercato del loro lavoro e della loro proprietà; in secondo, restringendo l'ambito di insicurezza, consentendo cioè ad individui e famiglie di affrontare le contingenze sociali (per esempio malattia, vecchiaia, disoccupazione); in terzo, assicurando che a tutti i cittadini, senza distinzione di classe o di status, siano offerti i migliori livelli possibili rispetto ad un insieme di servizi sociali. Quindi il welfare state può intendersi, in buona sostanza, come uno Stato che si prefigge taluni obiettivi sociali al fine di riequilibrare situazioni di diseguaglianza sociale in merito al reddito, alla sicurezza di fronte alle avversità, all'accesso a servizi ritenuti essenziali. Pochi temi, nella storia del XIX e del XX secolo sono stati tanto cruciali e controversi, come quello del welfare state, per molti versi uno degli elementi fondanti della identità dello Stato contemporaneo e di innumerevoli conquiste umane e civili.
La globalizzazione
dei mercati, le esigenze economiche dell'Unione europea definite dal calendario di
Maastricht, sono solo alcuni degli elementi, ma tanti sono anche gli aspetti specifici nazionali (in
Italia per esempio, il sistema previdenziale assorbe la maggior parte dei finanziamenti pubblici, a scapito degli altri settori della spesa assistenziale come la disoccupazione, la sanità, il sostegno alle famiglie e ai giovani) per i
diversi Paesi in cui è garantito un
sistema di welfare, che impongono alle singole comunità un serio progetto di riforma complessiva dello Stato sociale. Certamente oggi nessuno potrebbe più fare una apologia del capitalismo in quanto "creatore
di ricchezza per tutti", davanti
a dissesti come quelli che hanno
polverizzato in pochi anni i valori
di tanti investimenti, dalle casse di risparmio americane alle società
assicurative giapponesi e a società italiane.
E nessuno si sentirebbe più di asserire che
il libero mercato spontaneamente
ferisce e risana e nel medio periodo
"crea vantaggi per tutti", di
fronte all'evidenza che troppe volte
l'impresa, lasciata a se stessa, senza controlli regolari, trascura e
calpesta l'incolumità e la dignità dei dipendenti in modi che ricordano i primordi della rivoluzione industriale. Ma anche chi contrappone il mercato allo statalismo non ignora che lo
smantellamento del welfare state
avrebbe effetti potenzialmente devastanti
sugli equilibri umani, sul consenso sociale, sulle stesse modalità di funzionamento delle democrazie e sulle forme di convivenza più
civili che la storia abbia conosciuto. E’
necessario riconoscere e riaffermare la conquista del welfare
state, indagando alcuni
aspetti cruciali di esso, evidenziando le
degenerazioni che ha subito, suggerendo qualche linea di trasformazione e di sviluppo operativo.
La proposta del Governo italiano di avviare nel 1997 un'approfondita riflessione
sulla riforma del nostro welfare
state muove nella giusta direzione. Due sono le sfide prioritarie che
voglio ricordare e su cui è necessario un approfondito confronto fra le parti e
un chiaro pronunciamento di riforma: l'occupazione e i bisogni delle giovani
coppie con figli. L'occupazione oggi è il settore cruciale. Il vecchio welfare
di tipo compensativo (si pensi
alla cassa integrazione) produce solo effetti negativi sui livelli occupazionali. In tutti i Paesi è in corso una riconversione verso politiche incentrate sulla mobilità e sulla formazione,
vecchie garanzie sono state abolite
(il posto a vita) mentre sono stati introdotti nuovi diritti che potremmo chiamare "di valorizzazione del
capitale umano". Occorrono anche incisive riforme dell'intero sistema formativo, uno dei
più arretrati d'Europa. La famiglia deve
recuperare centralità nel nostro
sistema di Stato sociale, è da considerare l'istituzione primaria di welfare
e da aiutare anche economicamente, oltre che potenziare le reti di
servizio e solidarietà. Si possono naturalmente immaginare ulteriori percorsi di riflessione sia sul piano dei contenuti, sia su quello degli strumenti, ma quello che forse è bene evitare, e che è una costante nella storia del nostro welfare state: grandi progetti mai
realizzati.
gennaio 1997
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