Sei autobus di
linea per il trasporto di disabili, attrezzati con pedane sollevataci per
carrozzelle, in attività su altrettanti percorsi periferici della città di
Verona; altri sei in fase di acquisizione per ampliare un servizio considerato
l'orgoglio dell'Azienda provinciale trasporti (APT) della città. Un numero di
passeggeri abituali stabilizzato sulle due o tre unità giornaliere.
Quasi un miracolo. Certamente una esperienza singolare
ed unica nel deserto del panorama nazionale dove nonostante una precisa
legislazione che da più di 20 anni disciplina la materia, poco o nulla si è
riusciti concretizzare. “Per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, la
scelta è stata limitata quasi esclusivamente ai servizi speciali e
personalizzati - precisa l'ingegnere Mario Peruzzi, direttore dell'APT di
Verona - certe barriere culturali hanno da sempre rallentato una vera
accessibilità al mezzo di trasporto collettivo da parte del disabile”. Anche se
la soluzione di trasporto pubblico con veicolo specializzato, servizio su
richiesta e prenotazione da parte dell'utente, adottata da alcune città, è
stata considerata valida sotto gli aspetti funzionali (poiché capace di
rispondere ai requisiti fondamentali di flessibilità, personalizzazione e
capillarità, indispensabili per servire persone affette da handicap gravi), non
ha mai riscontrato il pieno appoggio delle associazioni interessate ai problemi
dei disabili perché insoddisfacente dal punto di vista psicologico, in quanto
favorisce l'isolamento e l'emarginazione. L'APT di Verona non nasconde le
numerose difficoltà emerse nella programmazione di questo tipo di trasporto,
dovute soprattutto ai vincoli sulla tipologia del mezzo, alle fermate non
attrezzate opportunamente, al vandalismo sulle attrezzature da parte di utenti
abituali, al numero esiguo seppur importante di autobus che in caso di guasto
non consente la sostituzione. “Sono ostacoli reali per un servizio efficiente.
- dichiara l'ingegner Peruzzi - tuttavia è forte in noi la consapevolezza che
il cammino intrapreso per il superamento dell'emarginazione e della
discriminazione del disabile, nel campo del trasporto pubblico, non vada interrotto”.
Una scelta importante, quella dell'amministrazione
provinciale di Verona, presentata in un recente convegno su: "Trasporto
pubblico urbano ed extraurbano" tenutosi nella città scaligera e promosso
dalle associazioni di disabili e dalla stessa amministrazione locale. Un’occasione
per fare il bilancio degli interventi legislativi ed operativi attuati e
tracciare nuove linee di azione.
La prima esperienza in Italia che ha cercato di rendere
il servizio di trasporto pubblico accessibile integralmente e cioè a tutti,
anche a persone con disabilità grave e che rappresenta un'esperienza tecnico-organizzativa
di riferimento per le altre realtà aziendali che via via stanno tentando di
dotarsi di veicoli simili. Un percorso più che mai tortuoso e pieno di ostacoli
quello del diritto alla mobilità delle persone colpite da handicap e che nel
nostro Paese non è privo di vicoli ciechi e di strade senza uscita. “Nella
normativa italiana- commenta Carlo Giacobini, delegato dell'ARGO, Centro studi
sulla mobilità di Firenze - sono presenti chiari riferimenti al diritto alla
mobilità ed alla accessibilità dei trasporti pubblici, ma difficilmente
riescono a trasformarsi in interventi concreti a garanzia di questi diritti”. In
questi anni le stesse istituzioni pubbliche hanno avuto chiara la situazione di
disagio, ma sono mancati gli atti e la volontà politica per passare dalla
conoscenza del problema all'affermazione di disposizioni risolutive. Il primo
comma dell'articolo 59 del decreto del 1986 di approvazione del Piano Generale
dei Trasporti recita infatti: “Gli individui con ridotte capacità motorie (...)
trovano nell'attuale sistema di trasporto, un momento di esasperazione della
loro emarginazione”. E numerosi sono stati gli stimoli e le pressioni delle
associazioni dei disabili e della Comunità europea.
In questa condizione nel 1992 si giunge alla emanazione
della legge quadro nazionale sull'handicap che all'articolo 26 demanda alle
Regioni e ai Comuni il compito di garantire la mobilità e l'accessibilità al
trasporto pubblico attraverso l'elaborazione e l'approvazione di piani
regionali: di trasporto, di adeguamento delle infrastrutture, di mobilità delle
persone con handicap.
A due anni dal termine di scadenza fissato dalla legge
quadro una sola Regione, la Lombardia, ed in tempi recentissimi, ha provveduto
ad adottare un piano dei trasporti. “Temo che si sia ancora molto lontani dalla
realizzazione di un trasporto pubblico accessibile a tutti - continua Giacobini
e questa preoccupazione non trae origine solo dalla non applicazione della
normativa esistente, ma anche da una certa schizofrenia del legislatore
italiano. Il legislatore prima si occupa del bisogno-trasporto delle persone
disabili e lo esplicita all'interno della legge quadro e di altre normative
mirate a garantire l'accessibilità dei servizi pubblici, ma quando si occupa di
organizzare i trasporti per l'intera società si dimentica dell'esistenza di
quel bisogno. Dopo il Piano nazionale dei trasporti - conclude Giacobini - non
si trova più alcun riferimento all'handicap in nessun altro decreto o circolare
o altra disposizione”.
L’accesso alla guida in Italia: ancora tante le
contraddizioni
“Per l'idoneità
alla guida tutti devono essere valutati secondo le proprie capacità e non più
secondo le loro menomazioni - scandisce chiaro, Antonio Ridolfi, del Comitato
italiano patenti per tutti; le capacità - prosegue Ridolfi - vanno stabilite
utilizzando tutte le tecnologie disponibili, per poter permettere al maggior
numero di disabili di poter guidare un veicolo opportunamente adattato”. Un
principio ribadito con forza dall'ultima Direttiva della Comunità europea
sull'accessibilità alla guida, ma che il ministero dei Trasporti del nostro
Paese ha recepito ancora solo in parte. Sarà totalmente attuato solo a partire
dal luglio del 1996, anche se le proteste e lo sconforto delle associazioni e
dei disabili, per una attesa non comprensibile, non mancano.
“Mai
più qualcuno deve essere considerato non idoneo alla guida senza essere stato sottoposto a prova di guida pratica” -
continua Ridolfi.Del resto il nuovo codice della strada lo impone e lo stesso comitato interministeriale, responsabile nel valutare il progresso scientifico che ha riflessi sulla guida, già da mesi ha inviato una circolare applicativa a tutte le commissioni mediche locali su questo punto. Sarebbe un primo passo significativo verso quel cambiamento di mentalità auspicato dalla Direttiva della Comunità europea. Rimangono comunque decine le città italiane in cui la richiesta del disabile di essere sottoposto ad una prova pratica di guida su una macchina opportunamente adattata è ignorata. Questi poi scopre magari che in qualche altra città, forse lontana 500 chilometri dalla sua, c'è una diversa sensibilità ed un'altra attenzione da parte delle autorità; bastano pochi giorni per scoprire che c'è una tecnologia adatta al proprio handicap e che una semplice prova di guida non fa altro che confermare quello che per anni gli hanno negato: poter guidare in sicurezza. “A volte ai disabili - ammette l'ingegner Giovanni Fiore, della Direzione generale della motorizzazione civile - vengono chieste dalle autorità pubbliche preposte alla valutazione della idoneità alla guida, prove molto più complesse e difficili di quelle richieste ai normodotati e questo non deve essere consentito”. Contro un eventuale giudizio negativo, della commissione medica locale, che non si condivide, rimane come ultima possibilità il diritto al ricorso, direttamente al ministro dei Trasporti e la speranza che la propria situazione venga valutata con attenzione dagli alti funzionari del "palazzo".
dicembre
1994
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