domenica 25 marzo 2012

Il sogno di Martin Luther King


Combattere l’oppressione e la violenza senza utilizzarne le armi. Essere migliori insieme agli altri e liberi. Un sogno che ancora oggi rimane tale.

Martin Luther King, eroe della non violenza ancora caro a chi ha sognato con lui e ancora sogna una pacifica convivenza tra i neri e i bianchi, tra tutti i popoli della terra senza distinzione alcuna: di colore della pelle, di religione, di
cultura di condizione sociale ed economica, al di là delle frontiere di classe, uniti in una forma di società completamente nuova. Una società senza più schiavitù, senza segregazione razziale e culturale, senza discriminazione economia e sociale, senza povertà e senza ingiustizie sociali.

Dopo l’esperienza di Birmingham, arrestato per aver partecipato ad una manifestazione di protesta contro la segregazione razziale, aveva detto: “Per anni ho vissuto nella convinzione di riformare le Istituzioni sociali esistenti, un piccolo cambiamento qui, una piccola trasformazione là. Adesso la vedo in modo radicalmente diverso. Oggi mi è chiaro che abbiamo bisogno di una ricostruzione complessiva della società, di una rivoluzione dei valori”. Aveva stabilito definitivamente quale fosse il suo vero nemico: costui non aveva un nome come Bull Connor (capo della polizia di Birmingham, particolarmente crudele e feroce e che aveva ordinato l’uso dei cani poliziotto e di sostanze chimiche contro i dimostranti giovani, adulti e bambini), ma era il sistema stesso.

Nasce così il suo nuovo impegno, su due fronti: collaborare con il Movimento pacifista ed organizzare la campagna di mobilitazione per la Marcia dei poveri (questa nuova iniziativa, idea assolutamente personale di King, doveva coinvolgere tutti i poveri della nazione, non soltanto i neri, ma anche i portoricani, indiani, messicani e bianchi, braccianti e lavoratori stagionali, netturbini e disoccupati con l’intento di portare i problemi dei poveri davanti alla soglia di casa della nazione più ricca della storia dell’umanità). Adesso il Vietnam e i ghetti non sono più due cose separate, bensì il prodotto della stessa società dei profitti, che in un caso come nell’altro passa sopra le vittime che essa stessa ha causato. L’impegno a favore del Movimento pacifista e le sue critiche alla politica estera degli Stati Uniti pongono King sotto il fuoco della critica sia interna alla sua organizzazione, la Conferenza dei cristiani del sud, sia esterna dei grandi giornali di massa e dei liberali bianchi suoi vecchi alleati. Esattamente un anno dopo Martin Luther King viene assassinato da un cecchino mentre si trova affacciato al balcone della sua stanza al secondo piano al Lorraine motel di Memphis, dove doveva partecipare ad una marcia di solidarietà con i netturbini della città in sciopero per rivendicare migliori salari, garanzie sociali e il diritto a potersi organizzare. Il suo assassinio è rimasto avvolto nel mistero, tra interrogativi che ricordano quelli che accompagnarono le indagini sulla morte di John F. Kennedy, notoriamente alleato e sostenitore del riformismo di King.

Quando morì, King aveva 39 anni, quattro figli, un arresto per “vagabondaggio” subito nel corso di una marcia pacifista, una condanna a quattro mesi di prigione per un sit in antisegregazionista ad Atlanta, un’aggressione a Manhattan: tutte azioni di rappresaglia per il successo ottenuto nel 1956 nel boicottaggio degli autobus in Alabama da parte degli utenti neri per protestare contro la discriminazione.
Nel corso di uno di questi arresti intervenne John F. Kennedy che nel 1960 lo fece uscire di prigione (perdendo così un milione di voti nel Sud); tre anni dopo, il 28 agosto 1963, forse con l’aiuto di Kennedy, King poté organizzare la famosa marcia su Washington nel corso della quale, davanti a duecentomila persone, pronunciò il famoso discorso “I have a dream”, ho un sogno. Quella marcia fu l’azione per i diritti civili più vasta nella storia degli Stati Uniti. Allora, tre mesi prima che Kennedy venisse assassinato, King disse ai dimostranti che cantavano tenendosi per mano lo spiritual We shall overcome (Noi vinceremo), diventando in quella occasione l’inno del Movimento per i diritti civili:
“Ho un sogno profondamente radicato nel sogno americano.
Ho il sogno che un giorno questa Nazione sorgerà e vedrà il vero significato del suo credo, il credo che tutti gli uomini sono creati uguali.
Ho il sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi proprietari di schiavi potranno sedere insieme alla tavola della fratellanza.
Ho il sogno che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una Nazione dove non saranno giudicati dal colore della pelle, ma dalla qualità del loro carattere [….]
Ho il sogno che un giorno perfino lo Stato del Mississippi, uno Stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia [….]
Ho davanti a me un sogno, oggi!”
L’anno dopo King ricevette ad Oslo il Premio Nobel e regalò i 54 mila dollari del premio al Movimento per i diritti civili. Davanti al re Olav V disse: “Sono consapevole che soltanto ieri a Birmingham, in Alabama, ai nostri bambini che invocavano la fratellanza venne risposto con incendi, cani ringhiosi e perfino la morte. Perciò devo chiedermi perché questo premio è assegnato a un Movimento che non ha ancora conquistato la pace e la fratellanza, essenza del Premio Nobel.
Questo premio che ricevo in nome di quel Movimento è basato sulla convinzione che la non violenza è la risposta al problema cruciale del nostro tempo: la necessità per l’uomo di superare l’oppressione e la violenza senza servirsi di violenza ed oppressione”.

Chi ha la fortuna di leggere i discorsi del reverendo King e i saggi di Malcolm X (l’altro profeta dei neri d’America) scopre che sul finire delle proprie vite, atrocemente brevi, i due erano in una fase di conversione. King, deluso dalle promesse dei bianchi, si radicalizzava e capiva che predicare il Vangelo e chieder sussidi sono due diversi mestieri. Malcolm X, angosciato dalla violenza dei musulmani neri (che alla fine l’avrebbe ucciso), scopre in pellegrinaggio alla Mecca che non tutti i bianchi sono animali. Il pastore cristiano e il fedele musulmano capiscono che il futuro di giustizia è multirazziale e multiculturale. Martin Luther King e Malcolm X rappresentano insieme quello che muove la Storia, il desiderio di essere migliori insieme agli altri.

Il sogno di King durò poco. Nel 1966, dopo che il Sud nero fu devastato da arresti e anche uccisioni governative, Stokely Carmichael fondò l’8 maggio ad Atlanta, in Georgia, il Black Power, nel 1967 infuriarono le rivolte a Watts (Los Angeles), Newark e Detroit, Carmichael andò da Fidel Castro all’Avana e affermò di aver adottato a Newark le tattiche belliche della guerriglia.
L’anno dopo Martin Luther King, amareggiato, deluso, frustrato, andò a Memphis a sostenere una rivendicazione dei netturbini. Forse senza grandi speranze di raggiungere un risultato sia pure così lontano dal suo sogno, si affacciò sul balcone per respirare l’aria del Sud che aveva sognato. Un’ora dopo (era il 4 aprile 1968) morì nell’ospedale St. Joseph di Memphis.

Nella Ebenezer Baptist Church di Atlanta in Georgia c’è la tomba del leader nero. “Finalmente libero” - sta scritto sulla lapide - perché il cielo non sarà mai dei violenti. Ebenezer Church è il centro vitale della comunità nera, l’orgoglio di chi continua a ripetere “I have a dream”, io ho un sogno. Un sogno che ancora oggi rimane un sogno.


© AF, novembre 2001





Alcuni passi del famoso discorso I have a dream, pronunciato da Martin Luther King al Lincol Memorial a Washington il 28 agosto 1963 (il discorso integrale può essere letto in varie lingue e ascoltato in lingua originale sul sito www.mlkonline.com)
 

I HAVE A DREAM

[…] Ma c’è qualcosa che devo dire alla mia gente che si trova sulla soglia accogliente  che conduce al palazzo della giustizia. Nel processo di acquisizione del posto che ci spetta di diritto non dobbiamo renderci colpevoli di ingiustizie. Non lasciamo che per soddisfare la nostra sete di libertà siamo spinti a bere dalla coppa dell’amarezza e dell’odio.

Dobbiamo sempre portare avanti la nostra battaglia sul piano alto della dignità e della disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Ancora ed ancora dobbiamo elevarci alla maestosa altezza di chi risponde alla violenza fisica con la forza spirituale. La meravigliosa nuova militanza che ha unito la comunità nera non deve portarci a diffidare di tutta la gente bianca, poiché molti dei nostri fratelli bianchi, come mostra la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato al nostro destino, che la loro libertà è inestricabilmente connessa alla nostra libertà. Non possiamo andare avanti da soli.

[…] Con questa fede noi potremo strappare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede noi potremmo trasformare la cacofonia delle discordie della nostra Nazione in una bellissima sinfonia della fratellanza.
Con questa fede noi potremo lavorare insieme, pregare insieme, combattere insieme, andare in prigione insieme, lottare per la libertà insieme, sapendo che un giorno saremo liberi.
Questo sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio potranno cantare con un nuovo significato: “Patria mia, è di te, dolce terra della libertà, è di te che canto. Terra in cui morirono i miei padri, terra dell’orgoglio dei pellegrini, dal fianco di ogni montagna fa che suoni la libertà”.

[…] quando lasciamo suonare la libertà, quando la lasciamo suonare da ogni villaggio ed ogni valle, da ogni Stato e da ogni città, potremo affrettare il giorno in cui tutti i figli di Dio, uomini neri e uomini bianche, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare con le parole del vecchio spiritual nero: “Liberi infine! Liberi infine! Dio onnipotente, siamo liberi infine!”.

1 commento:

  1. 21:38, 20 dicembre, 2008

    Veramente Martin Luther King e Malcom X non volevano un mondo multiculturale, volevano la dignità per la gente nera. Siamo diversi, ma c'è un gruppo che si ritiene superiore ad un altro. Il loro travaglio sta nel fatto che nessun diritto civile e in grado di garantire questo, la dignità. Gli antropologi la chiamano "eurocentrismo" ed è ciò che questi signori combattevano. Il discorso "I have a dream" sinceramente la vedo molto perbenista e come "moltissimi". Malcolm X invece è stato decisamente più intelligente sotto molti punti di vista. Perché è inutile professare il porgere l'altra guancia quando ti stuprano moglie, figlia e sorella, e ti linciano mariti, figli e fratelli solo perché sono neri. King è bravo, ma di certo non è stato lui il vero oratore, lui era un idealista, e non ha insegnato nulla. Malcolm X invece aveva una marcia in più, e ha insegnato molto, molto. Orgoglio, dignità, autostima, storia e ha dato un valido esempio di nero capace, sveglio, intelligente, sublime. Le sue sono vere e proprie orazioni, ironiche, pragmatiche; mica favole da bambini. Purtroppo viene nascosto in questi giorni, ma è stato uno dei pochi che si può dire aver lasciato un segno nel XX secolo. Oggi purtroppo sarebbero dispiaciuti entrambi per come vengono sottovalutati e sfruttati ancora i neri. Il sogno non basta, ci vuole l'intelligenza.

    http://secretum.splinder.com

    RispondiElimina