domenica 15 aprile 2012

Ritrovare la speranza a Prud


Prud, è una città ancora semidistrutta e parzialmente abitata, a pochi chilometri dal confine con la  Croazia e la Serbia, nel nord est della Bosnia Erzegovina. 

Prima della guerra Prud contava quasi 1300 abitanti, oggi quasi 700, tutti di etnia croata e religione cattolica.
Situata su una piana all'incrocio tra i fiumi Bosna e Sava, era un villaggio in cui era bello vivere; ritmi da zona di campagna, ma vicinissima a una moderna e grande città, Masac,  ricca culturalmente ed economicamente (rispetto alle altre città della Bosnia). Il ponte che collegava le due zone è ancora distrutto, (la Comunità internazionale è pronta a finanziarne la ricostruzione, ma si dice che i Serbi non vogliano) e quasi ogni giorno è meta di giovani e di famiglie, anche se a piccoli gruppi e senza fare tanto clamore, che raggiungo la parte più alta quasi al centro del fiume e qui rimangono in silenzio, pregano, ricordano il passato di pace poi diventato di violenza e cercano di trovare un senso a questa vicenda e una speranza per un ritorno alla normalità e a una convivenza civile. Il ponte distrutto, insieme alle tante case ancora sventrate e bruciate, ai muri con i simboli della grande Serbia, ai campi ancora minati e all'agghiacciante cappio di filo di ferro appeso ad una quercia in prossimità del cimitero, è un segno di morte e di disumanità che molti abitanti di Prud desiderano trasformare in segno di una speranza ritrovata.

A Prud, la vita dei giovani e degli adulti, è scandita dall'apertura e chiusura di due bar, e la domenica dalla messa, mentre i bambini e i più giovani non hanno spazi di incontro se non 150 metri quadrati in riva al fiume Sava, attrezzato con un trampolino per i tuffi ricavato con una piccola tavola inchiodata ad un albero, o un percorso di un chilometro per un giro in bicicletta, e un piccolo campo da calcio. L'intraprendente parroco (che è anche la più autorevole autorità civile, politica e morale del luogo), ha da poco predisposto, con l'aiuto dell'Azione cattolica di Bologna, un piccolo campo, a lato della Chiesa in ricostruzione, che può essere adibito a secondo delle necessità per attività di calcetto, pallavolo o basket e un piccolo parco giochi per i più piccoli. Le ragazze a diciotto o diciannove anni sono già spose.

La gente vive quasi esclusivamente di agricoltura, non c'è altro lavoro, (escluso i due bar, un alimentari e un forno; quest'ultimo occupa sette persone ed è l'attività economica più florida) e poche prospettive, almeno nell'immediato, che possano nascere attività da investimenti di imprenditori locali o stranieri. I più fortunati sono quelli che durante la guerra sono stati  profughi in Germania o in Austria o vi hanno ancora qualche familiare o parente che manda ogni tanto un po' di denaro.

I ponti che garantivano i contati con Masac (prima città multietnica, oggi vi vivono soltanto Serbi) e la Croazia sono entrambi distrutti, ci sono due traghetti in funzione dalle otto della mattina alle otto della sera che garantiscono i collegamenti con la vicina ed amica Croazia. Da appena un anno è tornato un medico a Prud, un medico di base, ma se succede qualcosa di grave occorre andare in Croazia, l'ospedale di Odzak, una grande città a 40 chilometri, ha personale esclusivamente di etnia Serba, la situazione si complica se c'è una emergenza di notte, quando non è in funzione il servizio traghetto.

In questo villaggio  tutto sommato, la situazione rispetto alle altre comunità del Paese non è poi così grave, c'è di peggio. Tanti siti sono ancora completamente distrutti e alla popolazione autoctona, (di etnia non Serba) nonostante la voglia di tornare a vivere e a morire là dove ha trascorso una vita, là dove ha visto morire sotto le bombe o impiccati o sgozzati tanti loro cari giovani e meno giovani,  non  è consentito tornare, è ancora soggetta ad  angherie e a minacce. Tante proprietà sono state requisite, dai poteri politici e amministrativi locali, controllati esclusivamente dai Serbi della Bosnia, alcune case sono state occupate da profughi Serbi venuti da altre regioni della ex-Jugoslavia in cui la convivenza con altre etnie è al momento impossibile in conseguenza delle vendette e dell'odio causato dal conflitto bellico. La paura e la tensione sono le emozioni prevalenti tra la gente. La speranza in un domani di pace e di civile convivenza, tra le diverse popolazioni della Bosnia, è quasi impensabile, una utopia.

I presidi della Forza internazionale di Pace e l'opera degli uffici umanitari della Unione europea garantiscono a stento che l'aggressività e i propositi di belligeranza non riesplodano con violenza e disumanità, ma possono poco nei confronti delle ingiustizie politiche e sociali, delle discriminazioni etniche e delle volontà politiche dei leader Serbi che non voglio e continuano ad ostacolare situazioni di convivenza multietnica, e in specifico il ritorno delle popolazioni croato-cattoliche e  bosniache-musulmane nelle città da loro abitate prima della guerra del 1991-95.

Sono passati quasi 4 anni dalla firma dell'Accordo di Dayton (novembre 95) e dal Trattato firmato a Parigi (dicembre 1995), che stabiliscono la Pace tra le diverse popolazioni della Bosnia Erzegovina eppure ancora oggi si vive nella paura che possa accadere qualcosa di atroce, così come è stata la guerra voluta dai Serbi, nell'insicurezza di un futuro senza futuro e senza una normalità da Paese civile e democratico, che sappia dar valore e  gestire la potenziale ricchezza  di una società che è multietnica e multiculturale.

Questa è una breve descrizione della realtà che ho avuto modo di sperimentare e conoscere questa estate insieme ad altri 25 giovani e alcune famiglie impegnati in un progetto di volontariato internazionale organizzato dall'Azione cattolica di Bologna.  Il gruppo, ospite del parroco di Prud, aveva l'obiettivo di favorire un clima di socializzazione e di solidarietà tra gli abitanti del villaggio e di ricreare e stimolare interessi culturali e spirituali nella vita della comunità. Erano attivi due classi di lingua italiana, tre classi di informatica, intinerari spirituali e di riflessione religiosa per i giovanissimi, gli adolescenti e gli adulti, momenti di preghiera. Inoltre sono state organizzate due visite a Banjaluka  (ospiti del Vescovo della città) e alla scuola multietnica di Tuzla, momenti socio ricreativi e uno spettacolo teatrale. Molto emozionanti e ricche sono risultate le visite presso le famiglie dei ragazzi di Prud che spesso coinvolgevano il gruppo in festeggiamenti di compleanni, di matrimoni, di partenze al servizio di leva o in semplice stare insieme con i genitori o parenti.
 
L'esperienza di questa estate è stata per me un  piccolo gesto di amicizia e di condivisione con alcune delle persone che hanno vissuto il dramma della guerra e della pulizia etnica, l'inizio di una conoscenza di alcune storie personali, della storia di un popolo e di una Chiesa che vive accanto alla gente che soffre e che muore per mano di altri uomini.

© AF, dicembre 1999

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