domenica 26 febbraio 2012

Gandhi, l'avvocato degli oppressi


Paladino del diritto dei deboli ad essere protagonisti della vita politica, Gandhi è un esempio raro di coerenza tra teoria, azione politica e comportamento personale.

Il nostro mondo continuerà ad essere violento? Vi saranno sempre ingiustizia, oppressione, miseria, fame, dolore? Quale sarà il destino dei popoli: la Guerra o la Pace?
A questi interrogativi il Mahatma Gandhi amava rispondere: “I mondo di domani sarà, dovrà essere, una società basata sulla non violenza. Questa sarà la prima legge: da essa nasceranno tutte le altre benedizioni. Potrebbe sembrare un traguardo distante, un’utopia astratta, ma non è affatto irraggiungibile”. In ogni suo pensiero e in ogni sua azione, in Sud Africa ed in India, Gandhi invita ogni individuo ad iniziare a lavorare in tale direzione, da subito. Ogni persona può e deve adottare il modo di vita del futuro – il modo non violento – senza dover aspettare che lo facciano gli altri. E se questo può farlo una persona possono farlo anche gruppi di individui e paesi interi.

È in Sud Africa, che il giovane e timido avvocato Gandhi inizia la sua avventura politica a difesa dei diritti dei lavoratori indiani, tenuti dalla minoranza bianca inglese in condizione di semi-schiavitù e di totale discriminazione civile e politica. È qui che si moltiplicano e maturano i suoi esperimenti alla ricerca  della Verità, di una via della Pace e della fratellanza fra gli uomini.
È qui che nasce e verifica ripetutamente il metodo del satyagraha, ossia del potere della verità, dell’amore e della non violenza. Ha quarantasei anni quando torna nella sua India. Venti anni di lotte sindacali e politiche gli hanno insegnato la pazienza, la strategia, l’eloquenza, l’efficacia del satyagraha, gli hanno fatto vivere la prigione, lo hanno convinto che per disarmare l’avversario non bisogna rispondere all’ingiustizia con l’ingiustizia, ma occorre commuoverlo attraverso la propria sofferenza.

Ritornato in India, Gandhi divenne ben presto il leader indiscusso della lotta per l’indipendenza dal dominio inglese. Un leader capace di insegnare alle masse oppresse del suo Paese l’arte dell’azione non violenta allo scopo di raggiungere la vera libertà, non attraverso l’acquisizione del potere politico da parte di pochi ma attraverso la capacità da parte di tutti di opporsi al potere quando questo è ottenuto con l’abuso. Libertà o swaraj intesa come liberazione sia personale che politica.
Un mese prima che iniziasse la marcia del sale, Bapu (ossia “nonno”, come il paese intero lo chiama) sottolineò questo scopo dello swaraj: “il semplice ritiro degli inglesi non è swaraj. Swaraj significa  che l’abitante medio del villaggio prende coscienza di essere l’artefice del proprio destino. E solo il satyagraha, “la forza della verità e della non violenza” era in grado di sviluppare questa consapevolezza e questa fiducia nelle proprie capacità perché dava pieni poteri al popolo.

La sua scelta fondamentale consiste nell’identificazione con gli oppressi, che affiorano alla coscienza e alla dignità di soggetti. Questo il modo con cui egli vive ed esprime l’universalità dell’amore per tutte le persone. “L’amore – scrive – non è autenticamente universale, se non preferisce concretamente gli esclusi”.
Quella di Gandhi non è solo una “scelta di campo” per gli oppressi, ma una identificazione completa con essi, che lo condurrà a ripensare la sua professione e la sua vita e a porle integralmente al loro servizio. Amare è affermare il diritto degli oppressi di essere soggetti storici, riconoscendo la loro capacità radicale, morale, intellettuale e politica di diventarlo. Significa impegnarsi anche e soprattutto sul terreno educativo alla maturazione di queste potenzialità.
Parte essenziale della sua scelta di “identificazione con gli oppressi” è quella di puntare sul satyagraha, cioè sulla forza della verità, dell’amore, della giustizia del diritto, in contrapposizione del diritto della forza politico militare ed economica, di puntare sulla non violenza. Gli oppressi, che sono i più deboli politicamente, militarmente ed economicamente,  non possono affermarsi come soggetti e come protagonisti della società, se non nella misura in cui la forza del diritto si impone sul diritto della forza. La società non violenta è quella in cui gli oppressi sono riconosciuti soggetti culturali, politici ed economici.

Il satyagraha, la forza della verità è intesa non solo nel senso di alternativa strategica alla violenza e di organizzazione volta a realizzarla, ma come alternativa globale di vita, di religione, di civiltà e di cultura. Alternativa ad un progetto di vita, di religione, di civiltà e di cultura imperniata sulla violenza.

Il Mahatma lascia un esempio di rigorosa coerenza tra la vita, l’esperienza religiosa, il pensiero, l’impegno sociale e politico. La coerenza di chi ha posto al servizio dei suoi ideali tutta la vita, per essi ha saputo sacrificarsi senza limiti, per essi è andato ogni giorno incontro alla morte. Un pensiero e un’azione in cui la spiritualità, il comportamento etico e la lotta politica sono inscindibili tra loro.
In ogni occasione Gandhi ribadiva la sua convinzione che non ci sarà pace per il mondo finché le nazioni più ricche non deporranno il loro credo nell’efficacia della guerra e nel terribile inganno e frode che l’accompagnano e non si mostreranno determinate nel forgiare una pace reale sulla base della libertà e dell’eguaglianza di tutte le razze, di tutte le civiltà e di tutte le nazioni. Lo sfruttamento e il dominio di una sola nazione su un’altra non dovranno avere più posto in un mondo che cercherà di porre fine a tutte le guerre. Soltanto il tale mondo i paesi militarmente più deboli saranno liberi dalla paura dell’intimidazione e dello sfruttamento.

Non ci sarà pace per il mondo finché permarrà, anche in un solo paese, lo sfruttamento dei deboli e dei poveri. È questa una forma di “violenza velata” che permane anche nei paesi democratici europei ed americani, dove di fatto il più debole non ha le stesse opportunità del più forte.
Non ci sarà pace per il mondo finché i paesi più ricchi vivranno saccheggiando le risorse e le ricchezze dei paesi del sud del mondo.

È la legge dell’amore a governare l’umanità. Fosse stata la violenza, cioè l’odio, a governarci, ci saremmo estinti già da chissà quanto tempo. Tuttavia la tragedia è che gli uomini e le nazioni, cosiddette civili, si comportano come se il fondamento della società fosse la violenza. Il desiderio di pace fra tutti gli esseri umani in ogni angolo del mondo rimarrà inappagato ancora chissà per quanto tempo.

Pochi giorni prima del 30 gennaio 1948, quando a Nuova Delhi verrà ucciso da un fondamentalista indù a causa del suo impegno contro il sistema delle caste, a favore degli intoccabili e per una convivenza pacifica tra indù e musulmani, il Mahatma Gandhi scriveva: “La mia esperienza, che si fa di giorno in giorno più forte e più ricca, mi dice che non ci sarà pace per le genti e per le nazioni se non si praticheranno la Verità e la Non violenza nella massima misura possibile per l’uomo”.


© AF, marzo 2002

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