giovedì 27 maggio 2010

Malattie etiche


“Come potremmo illuderci che la classe politica italiana, che di questo sistema putrido e corrotto si nutre come i topi nel formaggio, ci tiri fuori dalla melma? Come potremmo affidare la salvezza allo stesso capitano che ha diretto la nave sul luogo del naufragio? Né la politica, finché rimarrà un corpo burocratico di notabili e di soldatini prezzolati, né gli altri poteri che governano l’economia o l’informazione possono tirarci fuori dallo sfascio”.

Parole forti e inequivocabili, che dicono chiaro del tono con cui Michele Ainis, professore di diritto Costituzionale all’Università di Roma Tre, un intellettuale coraggioso e “fuori dal coro” affronta, nel suo ultimo libro La cura (Chiarelettere, Milano 2009), i mali endemici e oramai incancreniti che pervadono il nostro paese e la nostra società.
Un’analisi impietosa, ma anche proposte concrete che vengono dalla sua lunga attività di insegnamento e ricerca e da una formazione accanto a maestri di grande spessore civico e morale.
E poi una speranza: i giovani, gli esclusi, gli emarginati da un sistema corrotto che determina una profonda ingiustizia sociale dovuta alla incapacità di valorizzare chi lo merita, perché la realtà italiana ogni giorno ci dice che non vai avanti se non sei protetto da una lobby, da un partito o dalla benevolenza di un potente. Chi è meritevole ed onesto spesso “rimane al palo”.
Gli esclusi, gli emarginati sono la maggioranza e possono fare la differenza qualora si attivino per un progetto di riscatto volto ad affermare una visione e una prospettiva nuova e rigenerata della società italiana, “ma occorre rimboccarsi le maniche e ritrovare una partecipazione attiva e mai delegare in bianco chi dovrebbe rappresentare nelle istituzioni o nelle organizzazioni varie le nostre istanze e i nostri valori. I diritti – scrive Ainis - non sono come la casa di famiglia che può essere ricevuta in eredità dai genitori, ogni generazione deve guadagnarseli daccapo, è come riedificare la casa di famiglia”.

Il nostro paese invecchia senza possibilità di ricambio generazionale, i giovani sono meno come quantità e contano poco, le gerarchie sociali e professionali sono bloccate. Da più di una ricerca autorevole si rimarca il bisogno di dare spazio ai giovani, permettendogli l’accesso a ruoli di responsabilità, in modo da diventare parte della classe dirigente per dare una nuova scossa di consapevolezza e impegno al nostro paese.
Ma la selezione del ceto dirigente dalla politica, all’economia, al sindacato ed alla stessa società civile vive e vegeta sulla cooptazione, sul nepotismo e sulla raccomandazione. L’élite di potere integra a se e sceglie solo chi dimostra fedeltà cieca ed incondizionata, “in Italia – scrive Ainis - non c’è più posto per chi esprime idee e posizioni alternative o minoritarie o indipendenti, non a caso il servilismo è oramai la malattia etica degli italiani”. E’ il trionfo dell’immeritocrazia.
Il sistema politico, sociale, economico e del mondo del lavoro del nostro paese: “esclude ed emargina i migliori mentre privilegia e premia i peggiori”, determina l’assenza quasi totale di una possibilità che riconosca i meriti, il lavoro, l’impegno, la professionalità, il valore della competenza, delle capacità e delle virtù morali della persona. Possiamo definirla “l’immeritocrazia – mi dice Ainis - è questo il principale dei mali del nostro paese e chi ne fa maggiormente le spese sono i più giovani.
Questo sistema uccide la speranza e l’aspettativa, di avere riconoscimenti meritati con il proprio lavoro ed impegno, diffonde una percezione di ingiustizia e fa precipitare l’efficienza complessiva del paese, ovvio che se i comandanti sono degli incapaci i servizi resi dal sistema sono inefficienti e spreconi di risorse e la capacità di generare reddito va a picco. Questo determina uno sconforto collettivo che colpisce i più giovani. Gli italiani sono tra i più pessimisti in Europa, con scarsa fiducia o meglio zero fiducia nei confronti delle organizzazioni rappresentative e delle istituzioni del paese”.
“Il pessimismo e l’ingiustizia della immeritocrazia – afferma ancora Ainis - si traduce in una sorta di cinismo collettivo, non si ha più fiducia nelle regole e quindi ci si arrangia fuori dalla regola e questo determina un sistema d’illegalità diffusa”.
L’affermazione del demerito non reca unicamente danno in termini d’efficienza e di giustizia, ma ancor più scoraggia i più virtuosi e talentuosi, e in conclusione svigorisce le qualità morali della gente.

La responsabilità della politica nei riguardi di questa degenerazione delle qualità morali della società è grande, diventando spesso anche cassa di risonanza che diffonde un costume e una pratica di comportamento in ogni ambito e settore della società. I partiti politici, dagli indubbi meriti storici – avendo permesso all’inizio del Novecento alle masse popolari di divenire parte attiva e determinante del paese - si sono trasformati in corpi oligarchici, impegnati più a controllare che a promuovere processi di cambiamento sociale e determinati a sopravvivere a se stessi.
La selezione dello stesso ceto politico è misurata unicamente sull’appartenenza e non sulla competenza e spesso è una strada chiusa ai giovani, a meno che non dimostrino un’adesione totale e acritica alle élite.
Un altro misfatto sociale che ha una sua amplificazione nel sistema dei partiti e delle altre organizzazioni sociali è il rifiuto di regole che stabiliscano una cultura della partecipazione nella vita associativa. Non c’è, per esempio, una legge sui partiti che li obblighi a rispettare alcune norme elementari di democrazia, le regole se le danno i partiti stessi e lo statuto, la carta fondante dell’organizzazione, è spesso esibito, ma poco o niente rispettato.

“La crisi di libertà, di giustizia, d’efficienza, di legalità che si è rovesciata sull’Italia è altrettanto micidiale d’una guerra – mi dice ancora Ainis - perché ha corrotto il nostro tessuto connettivo, il nostro paesaggio umano, così come le bombe devastano il paesaggio naturale.
Occorre rompere il potere lobbistico e oligarchico dei partiti, dei sindacati, delle corporazioni, dei potenti di turno restituendo la sovranità ai cittadini e innervando la democrazia rappresentativa con una buona iniezione di democrazia diretta”.
E’ questo l’aspetto essenziale, il cuore del viaggio del costituzionalista nei mali e nelle possibilità di riscatto etico e politico del paese: correggere il concetto stesso di democrazia o almeno della falsa democrazia che conosciamo e che alimentiamo.
Ma che cos’è “la democrazia”? “Tante sono le definizioni date, ma in ultimo credo - puntualizza Ainis – democrazia è responsabilità, nel senso di dover rendere conto.
La democrazia obbliga chi ha potere a un rendiconto quotidiano nei confronti di chi ha sostenuto o sostiene quel potere.
Se la democrazia viene concepita solo come delega, un  rendiconto, quando va bene, ci sarà a fine mandato. E se chi è investito di una funzione di potere compie una serie di misfatti durante tale mandato, nessuno può farci nulla”.
“Nella società politica e civile italiana si è affermato un concetto di democrazia pensato soprattutto come delega e che ha come corollario l’irresponsabilità del delegato durante il suo mandato. Senza rinunciare alla delega, per certi versi inevitabile - anche perché è impensabile tornare alla pratica dell’agora, neanche attraverso l’uso della tecnologia informatica oggi a disposizione – occorre però affiancare ai meccanismi in essere un sistema di controllo della gestione del potere. E questo correttivo vale sia per il parlamentare che per l’amministratore di un condominio, che per il preside di una facoltà universitaria come per il segretario di un’organizzazione sindacale o il presidente di un’associazione”.
Tante altre sono le alternative a un sistema bloccato proposte dal professore di diritto ed elencate e approfondite con ordine nei dieci punti del suo libro.
Il decalogo di Ainis rimarca fortemente l’esigenza di regole chiare e verificabili su quelle che sono le organizzazioni di rappresentanza, le istituzioni e i meccanismi perversi che determinano la degenerazione dei comportamenti e dei costumi, a ogni livello della politica, della partecipazione pseudo democratica delle organizzazioni sociali, civili e istituzionali.

“Ho una visione forse un po’ troppo da giurista – mi dice Ainis - ma credo che le regole; se sono serie e se si rendono vincolanti, ossia se c’è qualcuno che le fa rispettare, abbiano una proiezione forte sui comportamenti individuali e collettivi determinando un ethos pubblico. Ad esempio da quando nel 2005 è stata modificata la legge elettorale, il Parlamento degli eletti si è trasformato in un Parlamento di nominati. Questo ha cambiato sostanzialmente le relazioni tra i poteri dello Stato perché ha oscurato il ruolo del Parlamento ponendolo a tacita disposizione del governo. Ha cambiato il modo in cui i singoli parlamentari svolgono la loro funzione, rendendoli tutti peones. Quella legge ha quindi ucciso l’indipendenza e la dignità civile e il ruolo di rappresentanza della funzione di parlamentare”.
Altresì con la stagione di Tangentopoli si era creata l’illusione che si potesse realizzare una rivoluzione etica, una evoluzione del costume e degli atteggiamenti sociali e politici, un nuovo e condiviso patto etico e sociale tra i cittadini, ma in realtà sono cambiate le persone (e a volte neanche quelle) ma i comportamenti sono rimasti gli stessi, il sistema di degrado morale e civile e la corruzione non sono affatto cambiati.

“I codici etici – mi conferma Ainis - vengono redatti e verificati dagli stessi organismi e organizzazioni che li dovrebbero applicare, quindi non hanno alcuna forza vincolante e di trasparenza. Mentre se si determinasse un organo terzo, autonomo, pienamente indipendente e super partes, allora forse potrebbe esserci qualche speranza di rispettato, altrimenti, così come per la totalità dei codici etici oggi in essere, rimarranno una sorgente di acqua fresca, ma fuori dalla portata del viandante assetato”.
“C’è  già uno statuto etico, di alto contenuto morale, civico e politico che è la nostra Costituzione”, basta studiarla in tutte le sue parti, perché ha tutto ciò di cui abbiamo bisogno come magna carta a fondamento di una nuova rivoluzione etica, ispiratrice e promotrice di solidarietà, giustizia sociale, democrazia, senso civico, ovvero i valori fondanti la nostra comunità civile che sono da recuperare, da ricostruire e che devono tornare ad essere guida per il nostro cammino sociale e politico.
Converrebbe riportare la nostra Costituzione al centro di una lettura non ideologizzata e strumentale, riproporla in modo diffuso nei percorsi educativi e di istruzione delle nuove generazioni, recuperando la memoria del percorso storico che l’ha determinata, ma ancora una volta, la coscienza civile e critica dei cittadini è facile merce per la propaganda mistificatrice delle lobby e del sistema di potere del paese.

© AF, dicembre 2009

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