domenica 18 dicembre 2011

Homeless: nulla tranne l'Amore


“Lo incontrai dove le strade si incrociavano, un uomo con mantello e bastone e nient’altro, e un velo di pena sul volto. E ci salutammo e gli dissi: “vieni nella mia casa, sii mio ospite”. E lui venne. […] Sedemmo tutti a tavola e gli facemmo festa, perché c’era in lui silenzio e mistero. E dopo cena ci radunammo intorno al fuoco e io gli chiesi che parlasse dei suoi vagabondaggi. Molte storie ci raccontò quella notte e anche il giorno seguente, ma quelle che ora riferisco nascevano dall’amarezza dei suoi giorni nonostante la sua benevolenza e sono storie di polvere e di pazienza, sono le storie delle sue strade.
E quando se ne andò, dopo tre giorni, non ci parve che fosse partito un ospite, ma piuttosto che uno di noi fosse rimasto in giardino e dovesse ancora rientrare”. (Il vagabondo, Kahlil Gibrain).
Il linguaggio significa sempre emozioni, atteggiamenti, visione della vita, giudizio su ciò che ci circonda, accoglienza o rifiuto. Non da molto cominciamo a notare e a provare a chiarire, almeno nel mondo delle comunicazioni di massa, che le persone con problemi di esclusione e di marginalità, i cittadini che vivono per strada, gli homeless, i barboni o i senza fissa dimora, sono meglio comprensibili come fenomeno sociale ed umano se li nominiamo come Poveri.

I senza fissa dimora non sono “i tossici”, “gi alcolizzati”, “i matti”, “i degradati” o “gli emarginati”, ma semplicemente persone, non troppe diverse da noi ma solo più povere. Si considera tecnicamente l’emarginazione grave, quella che porta sulla strada, come l’ultimo gradino della povertà e diversi sono i motivi che conducono una persona a questa situazione. Si arriva a questa condizione di abbandono e di degrado a causa di alcuni eventi gravi ed emotivamente coinvolgenti: dalla perdita di lavoro, a difficoltà economiche, a disgrazie, a lutti, a separazioni, ma anche a causa di “tanti piccoli eventi” che creano una spirale scivolosa, in cui spesso personalità deboli, ma non solo, possono cadere e a volte senza ritorno.
Da questo stato d’animo si arriva ad un progressivo abbandono di tutte le relazioni, da quelle più significative a quelle meno e poi al trascurare il proprio corpo (non ci si lava, non ci si cura), fino alla perdita di senso della vita e di attaccamento e di valore della vita stessa. 
Al percorso di perdita delle relazioni, di decomposizione ed abbandono del Sé, segue una perdita di identità: anagrafica (documenti, indirizzo, riferimento telefonico, ecc…) ed una chiusura totale alla relazione. A volte chi arriva in strada lo fa per scelta, ma sono rari i casi, oppure non riesce ad integrarsi in questo sistema culturale, sociale ed economico e allora piano piano si lascia andare senza trovare la forza di reagire.

Da una stima non ufficiale, ma indicata dagli operatori del volontariato, risulta che il 70% dei senza fissa dimora sono tossicodipendenti, il 20% ha alle spalle fallimenti personali e distruzione della famiglia e che il 70% è alcolizzato. In grande aumento i giovani e le giovani, soprattutto tossicodipendenti, a differenza di qualche anno fa quando prevalentemente gli homeless erano persone adulte o anziani. “Questo perché – spiega un responsabile del volontariato – la famiglia non è in grado di affrontare le difficoltà che seguono alle forme di dipendenza e le comunità spesso sono vincolate a programmi di recupero, stabilite con i servizi pubblici, con tempi molto stretti, difficili da rispettare. Tante esperienza hanno necessità di tempi lunghi, i risultati arrivano dopo un po’ e a volte senza chiedere – alle persone in gravi difficoltà – impegni e risposte immediate”.

Le donne che vivono in strada sono in forte aumento e per loro le difficoltà sono veramente grandi. Quando una donna finisce in strada, spesso ha destrutturato completamente la propria identità, se è giovane spesso è tossicodipendente e se è adulta ha gravi problemi psichiatrici e di gestione della propria sessualità.
Non esistono dati sicuri ed aggiornati su quanti senza fissa dimora italiani vivono per strada o nei dormitori pubblici o in strutture di accoglienza gestite dal volontariato laico o religioso.

A Bologna sulla base di osservazioni empiriche, indicate dai responsabili della Caritas e della cooperativa Oltre la strada – Amici di Piazza Grande, sono circa 200 le persone italiane accolte in strutture, su circa 350 che vivono in strada.
I progetti mesi in campo dal volontariato di Bologna, per dare risposte alle persone in condizioni di estrema povertà sono numerosi ed alcuni significativi anche sul piano nazionale. Centri di accoglienza e di ascolto, mense, dormitori, servizi di inserimento lavorativo, corsi di formazione, laboratori artigianali, di teatro, di musica, di scrittura.
I senza fissa dimora chiedono risposte concrete: poter mangiare, dormire, far la doccia, vestirsi.
“Per noi è importante anche lo strumento del gruppo di aiuto – mi dice Maura Fabbri, responsabile del Centro di ascolto della Caritas di Bologna – che è il tentativo di scoprire i bisogni primari, di capire i problemi che hanno portato all’esclusione. Quindi non solo offrire cose concrete, aspetto importante, ma anche creare occasioni per costruire relazioni”. La soluzione non è uguale per tutti e il tentativo di ricomporre tante difficoltà porta a volte a percorsi lunghi e non lineari.

Senza fissa dimora significa anche senza diritto all’assistenza sanitaria. Non essere iscritto in nessun registro anagrafico comporta di fatto il non poter godere di quei diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. L’accesso all’assistenza sanitaria, per queste persone, avviene attraverso strutture del volontariato sociale e tranne il pronto soccorso per le emergenze non c’è nulla. Una sentenza del giudice del tribunale di Bologna, nell’estate del 2001, a seguito di una causa intentata dagli Avvocati di strada (un progetto dell’associazione Amici di Piazza Grande che offre alle persone che vivono in strada un sostegno per la tutela giuridica dei loro diritti) ha sancito il diritto dei senza fissa dimora di poter richiedere la residenza nei dormitori pubblici, nelle sedi delle associazioni ed in ogni altro luogo ove effettivamente dimorino. Questa decisione rappresenta un precedente giurisdizionale di notevole rilievo ed unico in Italia e fa si che la persona con la residenza venga presa in carico dai servizi sociali territoriali e possa quindi, come cittadino, riavere i documenti, l’assistenza sanitaria, l’accesso a programmi pubblici di reinserimento lavorativo, un lavoro, una casa.

“I Poveri costituiscono la speranza dell’umanità. Quelli che soffrono la fame e sono in difficoltà, quelli che non si sentono amati. Saremo giudicati secondo il modo con cui li avremo trattati, secondo l’amore che avremo offerto loro. Essi sono la nostra speranza di salvezza. I Poveri devono sapere che li amiamo, che non sono indesiderati. Da parte loro, essi non hanno nulla da dare all’infuori dell’amore” (Madre Teresa di Calcutta). Ma allo stesso tempo la Madre ricordava sempre: “Oggigiorno è di moda parlare dei Poveri, ma conoscerli ed amarli è tutta un’altra cosa”.

© AF, dicembre 2002


foto dal sito: www.firstorlando.com

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