domenica 11 settembre 2011

Honduras, il golpe dimenticato


Il coraggio, la passione e l’impegno di un prete dell’Honduras.
Padre Andrès Tamayo racconta la difficile situazione politica e economica del suo paese e della resistenza civile e pacifica del suo popolo.


Padre Andrés Tamayo, sacerdote, leader ambientalista e portavoce del Fronte di resistenza popolare honduregno, è da anni accanto ad un popolo che il potere economico e politico corrotto del suo paese ha impoverito e marginalizzato.

Minacciato spesso di morte dai potentati economici dell’Honduras che - da tempo e con l’avvallo della classe politica interna - sta saccheggiando le risorse del paese ed impoverendo larga parte della popolazione, è stato costretto all’esilio dopo il colpo di stato del 2009. Chierichetto di monsignor Oscar Romero, in Salvador, dov’è nato, fu un suo figlio spirituale e da lui fu ispirato al sacerdozio e a dare un’impronta popolare al proprio agire pastorale, sociale e politico.

Quello che mi impressiona incontrandolo, è la sua forza e determinazione morale, nonostante la sua fragilità fisica; è la sua fiducia nelle possibilità di riscatto di una comunità, che può maturare attraverso un processo sociale e politico dal basso, è il coraggio con cui combatte l’ingiustizia e la povertà materiale di cui è vittima il suo popolo. ”Uno dei miei ispiratori nel processo di sacerdozio e di sensibilita’ umana – mi dice padre Andrés - fu Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 maggio 1980 da un sicario del govervo mentre celebrava la messa, fu lui che mi influenzò sul come accompagnare il popolo. Attraverso Romero, ho capito come un uomo di chiesa, un vescovo, debba unire il suo vivere l’esperienza del tempio con l’accompagnare la vita di un popolo attraverso l’esperienza e l’isprazione che scaturiscono dai valori del Vangelo. La Chiesa non è soltanto lettura della Bibbia e del Vangelo, non è soltanto un culto, ma è la propria vita offerta sul tavolo del mondo, come Gesù offrì la sua vita sulla croce e nel calvario”.

Così come Romero anche padre Andrés ha scelto di essere dalla parte del popolo, dei più poveri e di quelli che stanno soffrendo. ”Questa è una decisione che una persona prende, una decisione personale perchè espone totalmente la propria vita, ma tutti sono invitati a seguire questo cammino, siamo tutti invitati, come ci insegna Cristo che decise anche lui di esporre e sacrificare la sua vita. Romero - conclude Andres Tamayo - fu un profeta che difese la verità e la giustizia con il suo sangue e con il suo stesso corpo. E quando durante la messa offriva il pane e il calice del vino - simboli del corpo e del sangue di Gesù - Romero stava offrendo anche il suo sangue e il suo corpo. Questo è il vero profeta, colui che non ha paura di dire la verità e in questo senso mi ha ispirato e mi dà forza, mi dà sicurezza  nel continuare a difendere la mia gente”.

L’azione sociale e politica di padre Andrés inizia nei primi anni 90, a fianco della popolazione, nella lotta per la salvaguardia delle foreste nella regione di Olancho nel nord dell’Honduras, minacciate dal taglio selvaggio degli alberi operato da grandi imprese internazionali, una delle quali è italiana. In poco meno di dieci anni un terzo delle foreste primarie della regione è stato abbattuto, le falde acquifere si sono essiccate, distruggendo l’equilibrio uomo-natura che è stato alla base della sopravvivenza per secoli degli indio della regione.

”In questo paese dove il potere economico delle multinazionali domina e non è possibile difendere, attraverso la legge, i propri diritti, la propria dignità e il bisogno universale di giustizia sociale, perchè il potere è al di sopra della legge, non c’era altra possibilità come sacerdote e ambientalista – mi dice padre Andrés - se non quella di unirmi alla mia gente e alla sua lotta”.

Il religioso abbraccia, senza risparmio alcuno, la causa del popolo, mettendo la sua vita al servizio degli ultimi, educando le coscienze ad una analisi critica delle cause della loro povertà crescente e organizzando con le comunità locali numerose manifestazioni pacifiche di protesta, scioperi della fame e una grande “marcia per la vita” (circa 170 chilometri percorsi a piedi dalla cattedrale di Juticalpa, nel capoluogo di Olancho alla capitale Tegucigalpa), alla quale partecipano migliaia di persone. Il saccheggio delle risorse del paese - legno acqua, argento, oro, ferro, carbone - trova dall’altra parte la miseria e la sofferenza crescente di un popolo che conta oltre il 70% di analfabetismo. Padre Andrés viene minacciato più volte di morte e a oggi sopravvive a cinque attentati: gli ultimi due tentativi di eliminarlo si sono verificati dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009.

È la riflessione teologica su libertà e liberazione il fondamento dell’azione religiosa e sociale del prete Tamayo.  “La teologia della liberazione – mi dice - non è un pensiero che è stato scritto per essere letto, ma è un impegno teorico e pratico che si scrive tutti i giorni ogni qualvolta si fa valere la dignità del povero e i suoi diritti. La teologia della liberazione è un altro modo di scrivere la storia della salvezza. Non è possibile che Dio chieda all’essere umano di accettare lo sfruttamento o di rassegnarsi ad essere povero, escluso ed emarginato o ad accettare un potere violento, che uccide e crea povertà ed emarginazzione diffusa.

È questa una storia della salvezza nella quale l’uomo completo: anima e corpo sono salvati, i suoi diritti e la sua dignità, la sua libertà e le sue risorse materiali e spirituali vengono riscattate”.

Dal 28 giugno del 2009, giorno del colpo di stato, l’Honduras è precipitato in una situazione di emergenza democratica. Il presidente Manuel Zelaya e centinaia di sindacalisti, giornalisti e intellettuali sono stati costretti all’esilio. I militari e la polizia, del nuovo regime, non risparmiano oppressione, violenza e omicidi di stato nei confronti degli oppositori e della popolazione.

Paradossalmente la diplomazia del nostro stesso paese e dell’Unione europea è stata a lungo assente e silenziosa, nei confronti di un potere che ha azzerato le libertà fondamentali e i diritti civili e politici. I media internazionali e locali hanno oscurato l’informazione sulla violazione dei diritti umani, perpetrati dal golpista Roberto Micheletti, ex militare e imprenditore di origine italiana,  con la piena responsabilità e avvallo di numerose multinazionali e del magnate dei media dell’Honduras Rafael Ferrari. Nel gennaio 2010 una finta elezione presidenziale, con oltre il 70% di astensione, ha portato al potere il generale autoritario Porfirio Lobo, la cui politica ha rafforzato il potere degli squadroni della morte e la loro azione violenta nei confronti di studenti, sindacalisti, politici e giornalisti attivisti del fronte di resistenza popolare.

Il colpo di stato e la degenerazione violenta e antidemocratica che si è determinata, hanno trovato la forte mobilitazione ed opposizione di gran parte della popolazione honduregna. Il Fronte di resistenza – mi dice  padre Andrés – è un movimento non violento composto da giovani, donne, organizzazioni contadine, intellettuali, indigeni, sacerdoti che - di fronte a forze economiche interne e internazionali che manipolano la politica e la sovranità del popolo, per esclusivi interessi economici e di potere – sono scesi in strada per difendere i propri diritti e la propria dignità e realizzare un cambiamento sociale e politico che permetta un fondamento nuovo e veramente democratico al paese”.

Tamayo è il portavoce del Fronte e come sacerdote si occupa di far crescere la coscienza civile e politica nella base. “Abbiamo scelto – mi dice padre Andrés - una forma di azione sociale, culturale e di lotta politica non violenta o meglio: pacifica e attiva. Questo è molto importante per tutti noi. Non possiamo minimamente pensare di mobilitarci e di lottare per affermare i diritti di giustizia, di democrazia e di pace contrapponendo alla violenza del regime un’altra forma di violenza o addirittura una guerra civile”.

Gli obiettivi principali del Fronte di resistenza popolare sono quattro: il ritorno, con garanzia di sicurezza, di tutti gli esiliati dal golpe del giugno 2009, a partire dal deposto presidente Manuel Zelaya, il pieno rispetto dei diritti umani violati permanentemente dai poteri militari e polizieschi del regime e l’avvio di un processo per l’accertamento delle responsabilità civili e penali dei golpisti e infine l’elezione democratica di un'Assemblea nazionale costituente e il riconoscimento del Fronte come organizzazione politica e sociale.

Il 22 maggio a Cartagena in Colombia,  è stato firmato un accordo, sotto l’egida dei presidenti del Venezuela e della Colombia, in cui vengono riconosciute buona parte delle richieste del Fronte di resistenza, ossia il ritorno del deposto presidente Zelaya, il riconoscimento della resistenza, la convocazione di elezioni per un’assemblea costituente,: poi padre Andrés è volato di nuovo in Honduras.

Il cammino di un popolo continua e la speranza per una democrazia credibile e realizzata, è tornata ad affacciarsi nei sogni di tantissimi honduregni. Ma come la storia insegna: occorre essere allerta per non vedersi di nuovo derubare diritti fondamentali quali la libertà di stampa, il rispetto per la dignità di ogni essere umano, le condizioni sociali e civili di pari opportunità, educazione, salute e partecipazione alla vita politica, sociale e culturale del proprio paese.


© AF, luglio 2011

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