martedì 4 gennaio 2011

Los Roques: quali misteri ???


Una piccola e tanto  sognata vacanza, in uno dei pochi paradisi naturali -Los Roques, in un’isola dell’arcipelago dei Caraibi- che ancora resistono, si trasforma,  per ANNALISA, RITA, EMMA, SOFIA, FABIOLA, STEFANO, BRUNA e  PAOLO e per i familiari ed amici tutti, in una grande tragedia umana.

ANNALISA, RITA, EMMA, SOFIA, FABIOLA, STEFANO, BRUNA e  PAOLO sono gli otto italiani che il 4 gennaio 2008 si trovavano sul piccolo aereo da turismo Let 410-YVdella Transaven, da Caracas a Los Roques. Un tragitto di poco più di 30 minuti, ma mai concluso o concluso chissà dove e chissà come.

Alle 9 e 38 il pilota lancia l’Sos: “entrambi i motori sono guasti, tentiamo l’ammaraggio”. Da allora il nulla. Dell’aereo e delle persone a bordo nessuna traccia.
Nei giorni successi iniziano i primi dubbi, sul che cosa sia veramente accaduto. Un’indagine - parallela a quella istituzionale - di esperti, nominati dai famigliari dei Dispersi, porta alla luce contraddizioni e sospetti che rivelano che probabilmente tutto sia successo, ma meno che un incidente aereo e che le Autorità italiane e venezuelane tutto fanno, ma meno che cercare la verità su ciò che è accaduto.

Più di un dossier è stato redatto, dai consulenti dei famigliari, ed inviato ai rappresentanti delle Istituzioni, nei quali si evidenziano le contraddizioni e le superficialità delle indagini istituzionali e i vari tentativi di insabbiare e rallentare le azioni di ricerca, ma ancora nessun ascolto, nessuna chiarezza, nessuna certezza su ciò che è successo all’aereo e agli otto italiani e alle altre persone a bordo.
Dopo le prime notizie del disastro aereo i parenti partono per Caracas e prendono contatto con i responsabili locali delle ricerche. Dopo pochi giorni hanno la impressione che la Protezione civile venezuelana considera la questione già archiviata. I passeggeri a bordo sono dati per morti, dunque va bene perlustrare e scandagliare, ma senza dannarsi più di tanto. Tutti i testimoni oculari confermano che i primi ad arrivare sul luogo del presunto incidente sono i pescatori e che i primi soccorsi arrivano sette, otto ore più tardi e con un dispiegamento di mezzi e  di attrezzature fortemente inadeguato.
Ma è quando arrivano i primi documenti ufficiali delle Autorità venezuelane, che ricostruiscono i fatti e la dinamica del possibile disastro aereo, che la sensazione si fa certezza e che fa maturare la decisione di nominare esperti di parte ed aprire contatti vari in Venezuela.

La ricostruzione risulta da subito, incerta e contraddittoria e i colpi di scena, che a tappe varie emergono, traccia una vicenda ambigua  e dolorosa il tutto con una incapacità dell’Unità di crisi della Farnesina di essere incisiva e autorevole nei confronti dei colleghi venezuelani e che in qualche occasione si dimostra impreparata e superficiale nei confronti dei famigliari dei Dispersi.
Secondo quanto riportato dalle “relazioni ufficiali”, il pilota, quando l’aereo si trovava a circa 16 miglia nautiche a sud dell’isola di Gran Roques, avrebbe comunicato via radio di trovarsi in situazione di emergenza, a causa dello spegnimento dei due motori (ma nessun consulente esperto di quel tipo di  aeromobili, ritiene plausibile che entrambi i motori si blocchino contemporaneamente. Probabilmente, la comunicazione del pilota nascondeva altro?) e che avrebbe tentato l’ammaraggio. In questa zona non c’è copertura radar e l’Sos è stato raccolto e trascritto a mano.
Da questo momento il contatto radio si è interrotto e non ci sono ipotesi plausibili del perché, mentre nella generalità delle situazioni di ammaraggio o di atterraggio di emergenza il contatto radio viene mantenuto fino al momento dell’impatto.

Le ricerche di superficie, non hanno portato al ritrovamento dell’aereo o di sue parti, ne tanto meno a quello dei passeggeri o di loro oggetti personali. Il generale Antonio Rivero, comandante delle operazioni di ricerca, al quarto giorno di ricerche infruttuose, spiega ai famigliari che tale circostanza avvalora l’ipotesi che il pilota, abbastanza esperto e in condizioni climatiche buone sia riuscito ad eseguire la manovra di ammaraggio con successo, in modo pressoché perfetto e che dopo il prevedibile galleggiamento dell’aereo (per un tempo stimato di circa due minuti) e nell’impossibilità di aprire il portellone di uscita, l’aereo si sia inabissato in mare per intero. Da ciò consegue, anche, il mancato ritrovamento di parti del bimotore o di oggetti vari o dei passeggeri.
Come risposta alla prima ipotesi di ricostruzione della dinamica dell’incidente arriva, dopo nove giorni,  la notizia del ritrovamento - da parte di un gruppo di ragazzi in gita (ma era già stato avvistato pochi giorni prima da pescatori che lo avevano segnalato alle autorità competenti) -  del corpo di un uomo, arenato sulla spiaggia della provincia di Falcon, a quasi 400 Km di distanza da dove si ipotizza sia avvenuto l’incidente aereo. Il corpo, poi identificato – dal tipo di salvagente rinvenuto nelle vicinanze e dall’orologio al polso, mentre non è mai stato eseguito l’esame del DNA - come quello del copilota.
La causa del decesso viene attribuita alle molteplici fratture traumatiche riportate , tra cui una mortale al plesso solare, dovuta probabilmente ad un violento impatto. Ma allora come si concilia l’ipotesi di un ammaraggio quasi perfetto (che giustifica il mancato ritrovamento dell’aereo o parti di esso o degli altri passeggeri o dei loro indumenti o oggetti) con la causa della morte del copilota, avvenuta per fratture da impatto violento e non da annegamento? E se il corpo del copilota è fuoriuscito dall’aereo perché non è stato individuato il suo corpo durante le ricerche dei primi giorni?
Nelle relazioni delle Autorità venezuelane si afferma che il corpo del copilota è stato trasportato a così tanta distanza dal luogo dell’impatto dell’aereo, da correnti sottomarine che in quella zona di mare, profonda anche 1.500 metri, sono forti e continue, ma le analisi sul corpo, confermano che nei polmoni non c’era acqua e che l’orologio al polso era intatto e funzionante.

I documenti ufficiali confermano che l’aereo avrebbe dovuto avere in dotazione una moderna scatola nera, ma non è mai stato individuato alcun segnale ad essa riconducibile. E poi le telefonate fatte dall’Italia al cellulare di ANNALISA MONTANARI,  ventiquattro ore dopo l’incidente risultava ancora libero, per ben due volte.
E poi la sorpresa. Secondo la ricostruzione ufficiale, a bordo dell’aereo ci sarebbero state 14 persone: otto italiani, tre venezuelani, uno svizzero e due membri dell’equipaggio. Grazie ad investigazioni private i parenti rintracciano un documento dell’Ente nazionale di volo venezuelano - presentato ad una riunione con i  responsabili della Farnesina, che avevano già avvallato le tesi ufficiali del Venezuela, i quali restano letteralmente a bocca aperta -  che annota la conversazione in partenza tra il pilota e la torre di controllo di Caracas, in cui il comandante dice, e più di una volta, che a bordo ci sono 18 persone. E allora, chi sono questi altri 4 passeggeri? E per quale motivo erano a bordo?
A metà aprile, arriva la notizia  che un sonar ha identificato una massa lunga 14 metri a trecento metri di profondità nelle vicinanze della costa di Los Roques.
Ma quali le probabilità che quell’“ombra radar” visualizzata in fondo al mare possa essere l’aereo con gli otto italiani a bordo. Nessuno, quella mattina del 4 gennaio, ha visto precipitare aerei nelle vicinanze della costa né tantomeno nei pressi della barriera corallina, dove avrebbero dovuto passare molte barche di turisti in vacanza. E poi in quel tratto di mare si sono inabissati e mai recuperati numerosi aerei e pescherecci.
A pochi giorni dall’ipotesi del ritrovamento dell’aereo, da una nota di un’agenzia stampa venezuelana si apprende che il responsabile della protezione civile Antonio Rivero, coordinatore delle ricerche, sempre molto attento e sensibile nei confronti dei famigliari dei Dispersi, all’improvviso, è stato rimosso dall’incarico.
Ma cosa è veramente successo al bimotore della Transaven quel 4 gennaio?? E dove sono i passeggeri?

Due settimane fa, si è svolta a Bologna, in piazza Maggiore, l’ultima iniziativa pubblica, dove si sono ritrovati in un abbraccio simbolico tutti i famigliari e i tanti amici ed amiche dei Dispersi, per chiedere  attenzione ed impegni concreti al Governo italiano.
“L’impegno più impellente è che il Governo venezuelano continui le ricerche, ma con strumenti e tecnologia adeguata – dichiara Fabio Bencivelli, socio ed amico da oltre 20 anni di Annalisa – e che il Governo italiano sia vigile su tutta la vicenda, ma con attenzione e competenza”.
E’ di pochi giorni fa la notizia, ma ancora una volta i famigliari l’hanno avuta dai contatti in loco e non dall’Unità di crisi della Farnesina, che la società venezuelana Corporacion Atm è stata incaricata di fotografare e scoprire se il relitto avvistato in fondo al mare è il Let scomparso il 4 gennaio.
“Sono passati quasi due mesi – ci dice un familiare dei Dispersi - per arrivare alla scelta della società venezuelana. Risulta chiaro l’immobilismo delle Autorità venezuelane e il palese tentativo di ritardare le operazioni di ricerca dell’aereo”.
Sono state sollevate diverse critiche dagli esperti dell’associazione dei Dispersi di Los Roques, perché da loro ricerche, risulta che la ditta incaricata è inadatta in tecnologia e competenze a svolgere il compito di verifica del presunto relitto e tanto meno del suo possibile recupero. E’ stata fatta richiesta di una presenza, durante le fasi di ricerca,  di un esperto nominato dai famigliari, ma non c’è stata risposta alcuna da parte delle Autorità venezuelane.
“Rimane, inoltre, il bisogno di una commissione di indagine parlamentare italiana, che faccia chiarezza sui fatti e sulle responsabilità per ciò che è accaduto – dice Bencivelli – questo è stato promesso ed auspicato dalle autorità di entrambi i Paesi,  ma ancora una volta nulla di concreto”.
Al dolore, al senso di delusione e di impotenza si alterna l’impegno morale ed umano a non mollare.
Il fatto di non sapere, fa perdurare da sei mesi lo shock. E’ come avere una ferita sempre aperta e sanguinante.
“Ma il continuare a parlarne è anche una grande fortuna    dice Bencivelli -  perché si mantiene viva la speranza di avere la “notizia”. La speranza di scoprire qualcuno ancora vivo, io personalmente non ce l’ho più, indipendentemente che si tratti di rapimento, dirottamento o incidente aereo. Puoi anche pensare che non ci sia speranza alcuna,  ma finché non si scoprirà che è stato trovato l’aereo e che sono stati recuperati i corpi, la tua coscienza ti impegna a far rimanere aperto uno spiraglio e a sperare nella possibilità di una notizia positiva”.
Molto simili i sentimenti di - Bruna, madre di Stefano e Debora, sorella di Fabiola - unite dalla consapevolezza di un totale abbandono da parte delle Autorità italiane e in particolare dell’Unità di crisi del Ministero degli esteri, deputata ad assistere gli italiani all’estero nelle situazioni di emergenza, disattente e latitanti su tutte le questioni della vicenda: “promettono, promettono, ma poi dopo 6 mesi dall’accaduto, ancora nulla di concreto, anzi siamo spesso noi, associazione dei famigliari a fornire dettagli e notizie su ciò che veramente stanno facendo in Venezuela, a sollecitare una vigilanza attenta sulle tante bugie ed omissioni delle Autorità venezuelane”.
E poi la rabbia e l’impotenza di fronte all’assurdità di una più che totale disinformazione generale sul comportamento di tanti  tour  operator che continuano a promuovere e vendere, viaggi della morte, dei misteri e delle scomparse, tutto nel più totale silenzio degli organi di vigilanza e di controllo del nostro Paese e di tanti altri Paesi cosiddetti “civili”.

In quel tratto di mare, negli ultimi trenta anni, sono scomparsi e mai più rinvenuti, ben 33 aerei. Eppure le compagnie continuano a volare, nonostante gli incidenti o i sequestri, semplicemente cambiando il proprio nome. La Transaven, una compagnia a conduzione famigliare che da sempre collega le rotte con Los Roques, uguale a molte altre del settore aeronautico venezuelano, ha essa stessa una storia tragica, come tragica è la storia dei suoi proprietari.  Il fondatore, si chiamava Efraim Rodriguez (padre) è morto in un incidente aereo proprio sulla rotta verso Los Roques. Una circostanza molto simile a quella attuale, anche in questo caso, stranamente, i resti non sono mai stati trovati. Nonostante tutto ciò, le agenzie di viaggio continuano a vendere vacanze da sogno a Los Roques senza alcun avvertimento sui pericoli a cui si va incontro.
Un’altalena di emozioni e di sentimenti, dal quel tragico giorno, ma anche la determinazione a non mollare e a voler sapere cosa veramente sia successo, il 4 gennaio, al bimotore della Transaven.
Un’azione forte, nei confronti delle Autorità politiche del Venezuela, da parte del Governo italiano, rimane l’unica, vera e concreta possibilità per capire veramente cosa sia successo al piccolo aereo della Transaven e per riportare a Bologna, a Roma e a Treviso:  ANNALISA, RITA, EMMA, SOFIA, FABIOLA, STEFANO, BRUNA e  PAOLO.

giugno 2008

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