venerdì 31 dicembre 2010

La solidarietà non fa notizia


Il linguaggio dei media é capace di rappresentare il sociale? É in grado di esprimere la complessità delle emergenze sociali del nostro tempo?



Se la sensibilità e l'attenzione reale alle tematiche sociali sono sempre più diffuse nella coscienza collettiva, tuttavia esse non trovano espressione in un linguaggio informativo adeguato. La televisione e i giornali descrivono male e in modo inadeguato il mondo delle "tante solidarietà".
É quanto é emerso in un recente convegno promosso dall'Associazione nazionale pubbliche assistenze sul tema: "quali rapporti tra informazione e società?", tenutosi a Modena e al quale hanno partecipato rappresentanti del mondo dell'associazionismo e del volontariato nonché giornalisti televisivi e della carta stampata.

La crescente attenzione che l'informazione dedica, da qualche anno, al mondo dell'emarginazione, del disagio sociale e al lavoro del volontariato ha avuto riflessi positivi nell'immagine che i cittadini hanno della società e dei suoi problemi. Termini come: solidarietà, volontariato, diritti umani sono presenti nel linguaggio comune, molto più di quanto non lo fossero in passato.
"Spesso però - dice Enrico Castaldi, direttore della rivista del Volontariato - più che di effettiva diffusione ed offerta di valori alternativi (la povertà, la moderazione per esempio, in cambio della ricchezza), vengono trasmesse in genere emozioni e a volte anche proposte consolatorie; oppure i mass-media tendono a strumentalizzare la solidarietà e il volontariato vendendoli come strumento di pubblicità e questo é senz'altro il risultato dell'estrema commercializzazione dell'informazione.
"La televisione, per esempio, che in questi anni ha avuto, comunque, il merito di aver aperto un processo di acculturazione e di unificazione linguistica nel nostro Paese, ha poi piegato e a volte sepolto la sua grande potenzialità culturale sotto le macerie delle risorse economiche, del mercato e soprattutto della pubblicità elementi che si sono impossessati di questo strumento. Ecco allora che sì, c'é un maggiore accesso, a questi media, dei termini come solidarietà, volontariato, ecc.... ma con questi vincoli".

D'altra parte, almeno per quanto riguarda la stampa e la tv commerciale, il problema del ritorno economico é in parte ineludibile. La necessità allora, di un rapporto critico con i mass media nasce quando essi cercano di sfruttare l'emozione pubblica circa drammi sociali, in termini economici e di audience.

"In tutti questi casi - afferma ancora Castaldi - in cui la notizia non nasce dalla realtà, ma dal bisogno di fare sensazione, oppure dalla retorica di una bontà generica di tipo autoconsolatorio, la comunicazione della solidarietà costituisce un ostacolo alla comprensione dei valori di cui essa é portatrice. Nasce la confusione tra il vero volontariato sociale e la faccia tradizionale, anche se rinnovata, della beneficienza, dell'assistenza, della consolazione, del modello dei ricchi che danno ai poveri".
La ricerca dello scoop e dell'audience é strutturalmente antitetica al bisogno dell'informazione che nasce invece dal dramma, dall'esclusione e dallo sforzo di chi si adopera per evitare tutto questo.
"Ecco allora - conclude Enrico Castaldi - che se il sistema dei media resta un mercato delle notizie dove ciò che conta é la ricerca dell'audience, la vendita, ecc... la notizia della solidarietà e dell'esclusione non si potrà mai vendere".


Il risultato é dunque che l'attenzione dei media al sociale, anziché diffondere i valori di cui esso é portatore, a volte li ostacola. Il problema, allora, non é quello di far parlare di solidarietà, di volontariato, ma del come se ne parla.

"Credo - mi dice don Vinicio Albanesi, presidente del coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza - sia prevalente nei giornalisti e nei media, nel loro complesso, l'idea di una condizione del volontariato tutto sommato esterno, superficiale, tradizionale. La prima reazione dell'operatore dei media, quando viene a contatto con questo mondo, é la meraviglia, la sorpresa che possano esistere strutture, organizzazioni, professionalità di valore. É prevalente, ancora, la concezione che il volontariato sia fatto di buona volontà. É chiaro allora che se questa é l'idea prevalente, nel momento in cui vanno a parlare del volontariato e dei fenomeni ad esso collegati riportino questa sensazione che é arcaica, primitiva, qualunquistica, eccetto rarissimi casi di giornalisti che hanno fatto una esperienza di militanza in organizzazioni sociali".

L'informazione come merce di scambio e i media come la bottega. Ecco allora che la professione giornalistica, l'ideale del mestiere dell'informare e del raccontare il sociale e la vita quotidiana si scontrano inevitabilmente con le esigenze della bottega informativa. L'attenzione ai problemi sociali diventa incapace di trasformarsi e di trovare espressione in un linguaggio informativo adeguato.

La ricerca di un nuovo modo di fare informazione, lontano dagli eccessivi condizionamenti della pubblicità, della vendita e dell'audience a tutti i costi é forse il compito più importante e decisivo per il rinnovamento del lavoro giornalistico, inteso principalmente nel suo valore di funzione sociale. A questa sfida, sono certamente chiamati i professionisti dell'informazione, ma anche gli operatori del sociale e soprattutto gli editori.

ottobre 1995

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