sabato 11 luglio 2009

Intelletuali è sempre disoccupazione


L’Italia è il paese europeo dove il rapporto tra iscritti all’Università e la popolazione studentesca è il più basso e a tanti laureati non si riesce a trovare una collocazione all’altezza della loro formazione.

A tre anni dal conseguimento del titolo di studio, il 77,6% dei neolaureati risulta occupato (il 62% ha trovato lavoro dopo la laurea e il 14% svolge lo stesso lavoro che aveva già prima della laurea). Il 16% si dichiara non attivamente impegnato nella ricerca di una occupazione, per vari motivi: proseguimento degli studi, altra attività di formazione, servizio militare, ecc... Coloro che hanno una occupazione stabile sono il 49,5%, mentre il 17,9% è occupato precariamente, il 5,3% ha un contratto di formazione-lavoro e il restante 4,9% ha dichiarato di lavorare solo occasionalmente.

E' quanto emerge da una recente indagine dell'ISTAT (Istituto nazionale di statistica) sugli sbocchi professionali dei laureati, in riferimento ai laureati del 1988, a circa tre anni di distanza dal conseguimento del titolo di studio.
Entro cinque anni dalla laurea, come si rileva da un'altra indagine in fase di definitiva elaborazione, gli occupati salgono al 93% e la percentuale degli “occupati stabilmente” sale al 76%. Il 19% continua a svolgere lavori precari, il 3% occasionali e meno del 2% usufruisce di contratti di formazione-lavoro.

Le maggiori possibilità di trovare in tempi brevi un lavoro stabile si registrano per i laureati del gruppo di ingegneria (il 72,9%), seguiti da quelli del gruppo economico (68,9%); le minori, invece, per il gruppo medico (27,9%) e quello letterario (37,6%). Gli occupati in maniera precaria provengono, principalmente, dal gruppo letterario (33,7%), da quello medico (21,1%) e da quello scientifico (19%). Pur considerando il diverso periodo del ciclo economico nel quale è stata condotta la rilevazione, “i risultati possono fornire ai giovani” — precisava la nota di anticipazione dell'indagine, pubblicata in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 1993-94 — “utili indicazioni per l'orientamento alla scelta della facoltà universitaria in relazione alle possibilità di assorbimento del mercato del lavoro”.

“In realtà i dati presentati dall'indagine hanno ben poco significato per i giovani neodiplomati che si sono iscritti e si iscrivono all'Università” precisa Andrea Cammelli, responsabile dell'Osservatorio statistico dell'Università di Bologna. Sono passati almeno due anni dalle ultime interviste della rilevazione e se consideriamo valida sul territorio nazionale la media di durata degli studi universitari, che va dai 6 ai 9 anni per le diverse facoltà (così come è emerso da una recente ricerca limitatamente all'Università di Bologna), la ricerca sarà vecchia di otto o dieci anni per lo studente che si è iscritto nell'anno accademico '93 - '94. Quindi è evidente che con un mercato del lavoro, così come è quello dei Paesi sviluppati, in continua e rapida evoluzione, la situazione fra otto, dieci anni sarà profondamente cambiata. “Non possiamo sapere oggi né come né in che misura sarà cambiata — continua il professore Cammelli — inoltre, non dobbiamo dimenticarci che il laureato, già da oggi, deve muoversi in un mercato europeo, internazionale”. Siamo ad un ordine di tempi archeologici che non si confà sicuramente con la pretesa di offrire, in tempi reali, un servizio di orientamento ai giovani.

I dati ISTAT divisi per aree geografiche mostrano un Paese con due realtà occupazionali fortemente differenziate. Nell'Italia nord-occidentale i laureati che non lavorano e cercano lavoro sono solo il 6,3% contro il 27,1% delle Regioni meridionali e il 25,1% dell'Italia insulare. Lo scarto appare più marcato se si confrontano gli occupati che hanno trovato un “lavoro stabile”. Mentre nell'Italia nord-occidentale sono pari al 62,5%, nel Mezzogiorno la percentuale scende al 36,4% e nelle isole non va oltre il 34,3%. I dati medi a livello nazionale non mostrano comunque una realtà drammatica. Dopo tre anni è in cerca di lavoro il 16% dei laureati e dopo cinque la percentuale degli occupati è quasi il 100%, e con la situazione di grande incertezza politico-istituzionale ed economica che vive il Paese questo è un dato sicuramente incoraggiante.

Tuttavia, l'Italia rimane il Paese dell'Europa occidentale dove il rapporto tra iscritti all'Università e popolazione studentesca è il più basso “e per tanti laureati non riusciamo a trovare una collocazione all'altezza della loro formazione” dichiara il professore Cammelli.
Se questa è la realtà come mai il Paese non è in grado di valorizzare a pieno il patrimonio di risorse e di potenzialità umane e professionali offerte dall'Università?


© AF, aprile 1994

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