sabato 16 maggio 2009

Testimone di una Chiesa per tutti


 “Sogno un mondo nel quale poter fermare un passante all’angolo della strada e in qualche modo diventare subito suo amico e percorrere con lui, nello stupore dell’incontro, il suo cammino interiore. Le rare volte che Dio mi ha fatto la grazia di questi incontri, ho scoperto cos’è amare veramente” (Martin Luther King).

Il dieci gennaio 2009 a Bologna, gli amici e le tante persone che lo hanno amato ed apprezzato hanno festeggiato  insieme con padre Fabrizio Valletti sj, i 50 anni dalla sua entrata nella Compagnia di Gesù.
“Cinquanta anni fa – dice padre Fabrizio - immaginavo solo in parte quello che avrei vissuto. Ero spinto solo dal desiderio di mettermi al servizio totale del Vangelo del Cristo risorto, per una spinta interiore che vivevo, per un radicale dono delle mie forze alla pace e alla giustizia.
A Bologna sono giunto dopo gli anni di Livorno, di Roma, di Firenze, di Follonica e Grosseto. L'avventura bolognese è stata la più lunga e il mio cuore è pieno di gratitudine e di gioia per quanto vissuto. Il Padreterno è stato generoso con me e mi ha permesso di fare esperienze tanto diverse e ricche, sia nel servizio ecclesiale, sia in una società come quella bolognese che offriva tante e varie risorse culturali, sociali e politiche”.
“Sento – continua padre Fabrizio - una grande voglia di ringraziare tutte le persone che ho incontrato nella mia vita ed anche di chiedere scusa per qualche piccola sofferenza che eventualmente ho anche solo involontariamente procurato. Posso dire che ho tanto amato e cercato di rispondere a tutto quello che sentivo urgente, soprattutto nei confronti dei più abbandonati e dimenticati. Il mio desiderio è di ringraziare insieme lo Spirito del Risorto che infiamma le coscienze di tutti, credenti e non credenti, nell'unica passione per il bene, la pace e la giustizia”.
Padre Fabrizio è testimone di una Chiesa nuova, ogni giorno accanto ai più deboli, agli emarginati, gli esclusi, i diversi, i carcerati, una Chiesa capace di dialogo con il mondo laico e non cristiano. Nasce a Roma nell’agosto del 1938. Studente di architettura, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1959. Studiò filosofia e teologia all’Università Gregoriana e fu ordinato sacerdote nel 1970. Dopo la Laurea in Lettere a Pisa inizia la propria attività pastorale a Firenze, Follonica, Bologna ed oggi a Napoli.

La sua fu una vocazione maturata in ambiente scout, con alle spalle studi tormentati, e con forti tensioni di laicità, spinto, anche, a militare politicamente accanto a chi si impegnava per gli ultimi.
Vivace nelle relazioni affettive e aperto alle ispirazioni che l’arte contemporanea suggeriva, era passato attraverso una esperienza di pittura e più tardi nella facoltà di architettura a Roma, negli anni dell’ espansione urbanistica della città.
“Fu in piazza San Pietro, quando Giovanni XXIII, appena eletto papa, si affacciò alla finestra per salutare il popolo in festa,  che si confermò in me la certezza di un cammino sacerdotale nella vocazione gesuita. Essere chiamato a servire Cristo Gesù “sotto il vessillo della croce”. Questa era l’immagine che sant’Ignazio intuì mentre si recava a Roma, con i suoi primi compagni,  per  mettersi a disposizione del papa. E questo è il desiderio di ogni gesuita: servire la Chiesa di Cristo Gesù.
Oggi questa tensione supera i confini della cristianità, chiamati a cogliere la presenza dello Spirito del Risorto nella varietà dei popoli, delle culture e delle religioni”.

Con Papa Giovanni XXIII sembrava concludersi un tempo in cui la Chiesa aveva sviluppato una identità anche politica di difesa e di separazione, rispetto alla crescente secolarizzazione ed alla influenza della cultura di ispirazione marxista.
La coscienza di molti, che vivevano a contatto con la classe operaia e con le fasce dell’emarginazione, era stata messa alla prova dalla scomunica dei comunisti prima e dalla dichiarata predilezione della Chiesa per il partito dei cattolici, frutto della diffusa azione dei Comitati  civici e dell’opposizione allo stalinismo, in piena guerra fredda.
 “La realtà politica e sociale rimaneva comunque conflittuale – dice padre Valletti - e mi premeva un servizio che, ispirato alla pace e al superamento delle divisioni, si aprisse al dialogo ed alla solidarietà verso gli ultimi, nell’urgenza di riforme ispirate alla giustizia sociale.  La Chiesa, specie a Roma, sembrava non avvertisse tali urgenze, ma il nuovo Papa squarciò il “velo del tempio”, dando il via a uno spirito nuovo che da lì a poco tempo si sarebbe  concretizzato in un evento di grande ispirazione come fu il Concilio Vaticano II”.
La formazione di padre Fabrizio è stata segnata dal concilio Vaticano II per tutti i segni di speranza con cui apriva il cuore di credenti e non credenti a nuove prospettive di dialogo, di pace e di giustizia.  Soprattutto presentava, da un punto di vista teologico, un volto del Cristo risorto che attirava l’umanità verso il mistero di un amore che poteva orientare la storia di un mondo diviso  verso percorsi di unità e di universalità.
 “Nella Compagnia di Gesù – mi racconta padre Valletti” - si rispondeva alle sollecitazioni conciliari con una Congregazione generale che riconosceva in Pedro Arrupe  una guida profetica  affinché  i gesuiti si mettessero con maggiore intensità al servizio delle sofferenze più dolorose del mondo contemporaneo.  La nuova sfida era riconoscere il volto del Cristo risorto nei più poveri ed in quei popoli che, privi di libertà e di sviluppo, manifestavano lo scandalo di un sistema internazionale oppressivo e violento, con ancora le ferite aperte del grande conflitto mondiale e delle lotte di liberazione”.
A papa Giovanni succedeva Paolo VI, figura capace di sintesi fra il magistero  della chiesa e le culture del nostro tempo, anche se frenato da una realtà ecclesiale che faceva resistenza nell’adempiere interamente agli orientamenti conciliari. La conflittualità presente nella Chiesa sembrava essere speculare  alle tensioni dell’intera società, che si dibatteva fra uno sviluppo  prepotente dell’economia di mercato  e le denunce provenienti dalle classi sociali più sfruttate. Le encicliche sociali sottolineavano però l’impegno della Chiesa  per liberare interi popoli dalle condizioni di miseria e di dipendenza. L’essere ordinato presbitero dalle mani dello stesso Paolo VI, significava come un incoraggiamento a seguirne il magistero.

“Nella mia esperienza di servizio come presbitero - dice padre Fabrizio - ho cercato di unire la tensione spirituale suggerita dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio nella meditazione del “re eterno”, che attira ad un dono totale di sé  stesso  per il Regno e per l’evangelizzazione, con l’impegno “temporale” vissuto attraverso la presenza nella scuola pubblica, nel sindacato, a fianco dei lavoratori e dei più svantaggiati, fino al sevizio nelle carceri. Si tratta di imparare a cogliere, lo Spirito del Risorto nelle realtà della cultura, della politica, delle problematiche sociali e di affiancare chi è impegnato in progetti concreti di cambiamento e di attuazione di iniziative  di giustizia.
Prezioso è stato  il legame di intesa e di accoglienza del loro magistero con i vescovi Guano, Ablondi, Vivaldo, Bettazzi, testimoni dello spirito conciliare e di una ricerca di apertura al dialogo e alla collaborazione con chi, del mondo laico e non cristiano, aveva a cuore progetti di pace di giustizia.  D’altra parte si viveva la preoccupazione,  vissuta da una parte di Chiesa, che la stagione dell’apertura e del dialogo potesse indebolire l’identità della comunione ecclesiale; di fatto si riduceva la spinta missionaria di un impegno apostolico che non vedeva confini e che voleva superare gli sbarramenti ideologici, caratteristici di una contrapposizione anche politica, corrosiva della convivenza pacifica nel nostro paese.  Prioritaria però sembrava rimanere la ricerca di risposte adeguate alle situazioni di grande sofferenza che una parte della nazione viveva e che a livello internazionale ancora più evidenti emergevano nei paesi senza sviluppo e soggiogati dalle grandi potenze.
Per me è stato molto ricco il confronto, segnato anche dall’amicizia, goduto nel corso degli anni con personaggi della sinistra  come i fratelli Berlinguer, Badaloni, Imbeni,  e tanti altri, da cui ho imparato a individuare e perseguire obiettivi comuni. Riferimenti per me preziosi del mondo cattolico,  nella stima e nella frequentazione,  spesso con conseguenze problematiche, sono stati La Pira, Meucci, Gozzini, nella mia parentesi fiorentina, e poi La Valle, Masina, Codrignani, Ardigò, Pedrazzi, Alberigo e tanti altri”.
La ricchezza umana e spirituale dei propri maestri diventa motivo di continua ricerca e di approfondimento di sé, della propria vita e della propria missione.
“E’ attraverso la leale apertura a tutti gli orizzonti – continua padre Valletti” che si possono scoprire vie di singolare valore e di innovativa speranza. Così era stato con i docenti laici come Ragghianti, Chiarini, Saitta, Ragionieri,  all’università di Pisa ed in seguito con i confratelli maestri di teologia come Fuchs, O’ Farrell, Alonso Shoeckel, Mateos, Martina,  e la lista è ancora più ampia.

L’aver partecipato a tanti momenti del dissenso, soprattutto nella stagione del “7 novembre, dei primi anni ’70, dei Cristiani per il socialismo, delle Comunità di base, fino alle così ricche esperienze con le comunità dei villaggi del Tchad, mi ha fatto gustare il cammino della Chiesa missionaria, alla ricerca continua di uno Spirito che parla attraverso anche coloro che sono spesso ritenuti lontani, ma che nel cuore e nella prassi vivono la pienezza della spinta evangelica, nella vicinanza ai poveri ed agli ultimi della terra cosi amati dal Cristo Gesù”.
A volte è stato definito un ribelle o ai confini, se non addirittura “dall’altra parte”! “Ho sempre coltivato - mi dice padre Fabrizio - la mia libertà interiore e questo mi ha aiutato molto nei momenti più difficili. Mi era stato possibile frequentare ambienti lontani dalla frequentazione ecclesiale, ma vivaci nella ricerca culturale e sociale, a contatto con persone che si ritenevano atee e spesso ostili nei confronti della Chiesa, con cui maturava un confronto ed una apertura di fronte a problemi gravi come il divorzio e l’aborto, oltre ai temi dell’economia e del diritto. I superiori della Compagnia erano sempre informati di ogni mia iniziativa, favorendo nel riconosciuto  spirito di obbedienza, l’impegno apostolico maturato in situazioni di palese complessità,  sempre ispirato alla fedeltà per ciò che mi stava più a cuore e cioè l’appartenere ad una Chiesa per tutti”.
Una vita quella del sacerdote gesuita Valletti sempre alla ricerca di occasioni e di strumenti di emancipazione sociale e di testimonianza di fede, di accoglienza dell’altro e soprattutto di chi è più sfortunato e solo o oramai smarrito in un percorso di vita sbagliato. Ogni giorno al lavoro, lontano dal clamore dei media e tra mille difficoltà, per costruire una società più giusta e nonviolenta, tentando di offrire ai giovani e agli emarginati una speranza e un’alternativa concreta.

“La fede e l’impegno per gli ultimi e gli esclusi – dice padre Valletti -  questi sono stati i motivi della mia azione umana e pastorale, sempre con disponibilità all’ascolto e all’accoglienza. Molte le incomprensioni e i fraintendimenti, ma superati per l’attaccamento alle cause di chi aveva meno protezione”.
E molte le iniziative messe in campo, in tante città diverse, come molti i doni offerti a tante delle persone incontrate, in questi anni. Gli scout, il Centro Poggeschi, La Primo Levi (università laica a Bologna), il Centro Hurtado a Scampia con le sue tante iniziative di accoglienza ed emancipazione sociale e umana per i giovani di un quartiere ai margini di una vita minimamente umana, il carcere (le case-famiglia per i minori del Tribunale dei minorenni di Firenze, la Dozza a Bologna, Secondigliano e Poggioreale a Napoli).
Ma una la visione alla base di un’azione pastorale, sociale e umana che contraddistingue padre Fabrizio: “In questo mio peregrinare ed agire accanto ai più deboli mi ha mosso sicuramente la speranza di un Dio che salva dal peccato e dall’errore e che risorge e ti accompagna ogni giorno, ogni momento;  di un Dio che vuole che il tuo amore, per ogni persona che la vita ti mette accanto, sia concreto e totale”.  
Rimane la consapevolezza di una vita spesa nella fede e nel servizio al prossimo e la certezza che occorra ancora fare tanto cammino, insieme ai propri fratelli di fede e non, per poter conquistare un mondo di pace e di amore e dove ogni vita umana venga amata e rispettata nella sua fragilità e dignità. La consapevolezza che sono più i fallimenti che i successi, ma questo non scoraggia o fa allontanare dalle situazioni di maggiore conflitto e sofferenza. Può anzi essere la conferma che vale la pena stare al posto giusto.

© AF, febbraio 2009

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