sabato 18 aprile 2009

Sociale parametro dell'economia


"Un malato terminale di cancro impegnato in una costosa causa di divorzio. Un uomo così, con il fatturato che porta ad ospedali e studi legali, contribuisce all'economia di un Paese più di un marito felice e in perfetta salute". E' questa una delle migliori esemplificazioni del "Prodotto interno lordo" (Pil) enunciata da Jonathan Rowe, in una recente audizione al Congresso USA sui temi della crisi economica globale di questi ultimi mesi.
E' solo l'ultima autorevole stoccata al concetto del Prodotto interno lordo, quale indicatore unico della misura del benessere e del successo economico di un Paese e quale strumento su cui poi si basano importanti decisioni di politica economica e finanziaria.

In diversi casi in questi ultimi decenni, il Pil non si è dimostrato un indicatore affidabile e all'altezza delle aspettative e capace di rivelare le distorsioni interne al sistema. Nonostante - in alcuni Paesi - si avesse un Pii con forti segni positivi si sono poi determinate gravi situazioni di crisi economica e finanziaria. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno guadagnato in crescita, ma solo perché hanno permesso l'accesso facile al credito e la Germania guadagnava in export unicamente perché aveva ridotto il potere d'acquisto dei cittadini.
Ma l'elenco delle assurdità che possono derivare dalla misura del Pii quale indice delle perfomance di un Paese è lungo. Ad esempio fa meglio al Pii: consumare carburante fermi in un ingorgo, magari ammalando di asma da smog i bambini del quartiere che utilizzare i trasporti pubblici; affidare i propri genitori ad un istituto per anziani che occuparsi personalmente di loro o costruire un grande carcere che una piccola scuola, là dove non ce n'è neanche una.

"II PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta". (Robert Kennedy, discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University).

In questi ultimi 30 anni diversi sono gli indicatori proposti dagli economisti e statistici in alternativa al Pil, ma forse tutti ancora parziali perché dalla pretesa di essere esclusivi.
Rimane l’urgenza del come introdurre nel dibattito politico indicatori che evidenziano i parametri non economici - il volontariato, il risparmio delle famiglie, la qualità dell'educazione, il rispetto ambientale, la partecipazione civile, il rapporto con le istituzioni e il livello di democrazia, - che creano felicità o sono alla base del benessere complessivo di un individuo, di una comunità e di un Paese.
Ho incontrato un protagonista - Enrico Giovannini - di questa nuova fase e della possibilità concreta di introdurre nelle diverse analisi statistiche, un punto di vista maggiormente ampio sul tema della valutazione del benessere economico e sociale di un Paese. Giovannini è professore di statistica economica all'Università "Tor Vergata" di Roma, nel giugno 2007 è stato l'organizzatore del secondo Forum mondiale OCSE sul tema: "Promuovere la misurazione e il progresso della società", che si è tenuto ad Istanbul (Turchia), al termine del quale è stata firmata da molte organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, OCSE, Commissione Europea, Banca Mondiale, ecc.) una dichiarazione che sancisce la necessità di andare oltre il Pil e misurare il progresso con indicatori più complessivi. Giovannini è Direttore statistico dell'OCSE e membro della "Commissione sulla misurazione delle performance economiche e del progresso sociale" istituita nel 2008 dal presidente francese Sarkozy e alla quale lavorano diversi premi Nobel dell'Economia.

Professor Giovannini, la crisi finanziaria e poi economica internazionale ci dice chiaramente che alcuni aspetti del sistema economico capitalistico, così come si è evoluto, è inadatto a garantire uno sviluppo economico e soprattutto umano e di giustizia sociale delle comunità e dei Paesi.
Può suggerire o tracciare - anche brevemente - ipotesi di nuove regole o di linee di un nuovo modello economico o del processo che deve portare ad un nuovo e necessario sistema economico ?

Il problema delle nuove regole è stato discusso al G20, agli inizi di aprile ed i Paesi partecipanti stanno ancora cercando una soluzione complessiva. Ciò che questa crisi ha reso evidente è che la regolazione dei mercati, non solo finanziari, dovrà essere maggiore. In questo senso la speranza che i mercati si autoregolino e che le informazioni sulle situazioni delle varie imprese fluiscano in modo efficiente non è stata ben risposta. C'è spesso collusione e opacità nelle circolazione delle informazioni. E il mondo ha scoperto di essere più vulnerabile e più diseguale di quello che credeva benché ci sia stato un lungo periodo di crescita economica che ha consentito sviluppi straordinari in molti paesi. Quindi, l'idea che lo sviluppo economico porti necessariamente maggiore uguaglianza è ormai caduta. Tutte queste considerazioni fanno sì che i governi e la politica abbiano un ruolo più importante che in passato.

Come legare la misura di un'economia ad aspetti non strettamente economici, anche detti "qualitativi", cioè quelli legati alla vita delle comunità, ai rapporti interpersonali, alla salute, all'educazione, all'ambiente, al lavoro inteso non solo come occupazione ma anche come qualità di lavoro?

Io credo che la storia di questi ultimi anni abbia dimostrato che, una volta soddisfatti i bisogni di base, le persone si rivolgono ad altri aspetti che determinano la qualità della vita. Quello che la crisi attuale dimostra è che non esiste una semplice sequenza: prima si punta al miglioramento economico e poi al resto. Non interessarsi contemporaneamente anche ai temi della sicurezza, della fiducia tra persone e tra operatori fa sì che anche la crescita economica sia a rischio. L'esempio più evidente è quello della fiducia: se non c'è fiducia non c'è né crescita economica né benessere economico. Questo dimostra che gli aspetti qualitativi e quelli quantitativi sono strettamente connessi. In una situazione di crisi economica, come quella attuale, il ruolo delle comunità locali diventerà assolutamente evidente per evitare che una, seppur grave, crisi economica faccia esplodere forti tensioni sociali o faccia venire meno il patto di solidarietà, fondamento della coesione sociale di un Paese. Ecco quindi come aspetti qualitativi e quantitativi debbano essere considerati insieme.

Perché una stretta misura di una economia in termini di Pii o di esclusive transazioni in denaro di beni e servizi non ha funzionato? E perché non funziona l'idea di valutare il livello di benessere comune dall'ammontare del consumo annuo e di dare sempre per scontato che un uomo o una comunità che consuma di più stia meglio di un uomo o comunità che consuma di meno. Quali le contraddizioni?

Ci sono due elementi da considerare: prima di tutto, il Pil è una misura di produzione di beni e servizi che passano (in gran parte) per il mercato, mentre molti elementi che contribuiscono al benessere di una società non passano per il mercato. Secondariamente, il Pii è una misura di ciò che succede adesso, ma non ci dice nulla sulla sostenibilità del sistema economico, sociale ed ambientale, né ci dice nulla sulla distribuzione di quelle risorse economiche. Quindi, il Pii non ha nulla di sbagliato, ma non è sufficiente per misurare questi altri aspetti. L'errore sta nel giudicare il progresso di una società da un singolo numero: per anni è sembrato che se il Pil cresceva tutto andava bene, mentre invece si accumulavano rischi che si concretizzano ora, sia sul piano economico, sociale ed ambientale.

In passato si produceva per consumare, appena ieri si consumava per produrre, possiamo dire di quella che dovrebbe essere la situazione nel prossimo futuro? C'è lo può spiegare?

La speranza è che sia la produzione che il consumo siano visti come strumenti per raggiungere un benessere che ha molte altre dimensioni. Questo non vuoi dire che le condizioni economiche del singolo, delle famiglie e della società, siano irrilevanti,ma esse sono degli strumenti e non l'obiettivo finale, che dovrebbe essere il benessere dell'intera società nell'oggi, ma anche per le future generazioni. Questo spostamento di attenzione è reso più che mai necessario dalla crisi economica ed ambientale.

Esiste la speranza concreta (o qualche progetto) che a breve si possa davvero introdurre nella misura della salute di un'economia il volontariato, il risparmio delle famiglie, la qualità dell'educazione e della sanità, le prestazioni nell'ambito familiare, il rispetto ambientale, ecc.? E di conseguenza la possibilità di una programmazione delle politiche economiche di un Paese sulla base di questi "indicatori sociali ed ambientali"?

Dobbiamo riconoscere che queste misure già esistono, non si parte da zero. Quello che manca è un'attenzione alla comunicazione di questi dati, aspetto che dovrebbe riequilibrare l'attenzione spasmodica all'andamento del Pil. Il problema non è cambiare il Pil, ma scegliere e comunicare altrettanto bene misure chiare degli altri fenomeni. Il Pii è pubblicato ogni trimestre e poi ci sono le revisioni, nonché le previsioni, sfornate a getto continuo dagli istituti di ricerca. Questi altri indicatori sono invece comunicati una volta l'anno e allora le persone non ci fanno attenzione. Per selezionare degli "indicatore chiave", sui quali concentrare la comunicazione ai cittadini in modo che ci sia una piena consapevolezza di questi altri aspetti, l'OCSE propone la creazione in ogni Paese di un tavolo istituzionale con il governo, l'opposizione e le parti sociali. In questo modo, i cittadini potrebbero avere una visione più complessiva del progresso del proprio Paese e non solo degli aspetti economici.
La buona notizia è che in molti Paesi si stanno realizzando queste istituzioni.

Ci può dire delle sue aspettative sul progetto della "Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale" istituita dal Presidente francese Sarkozy ?

A maggio dovrebbe uscire il rapporto della Commissione, che suggerisce questo spostamento dalla semplice attenzione al Pil, ad una maggiore attenzione alle misure di benessere complessivo, cioè un insieme di indicatori chiave di carattere economico, sociale ed ambientale. Il progetto non è quindi quello di costruire un
unico indice, ma una batteria di indicatori. Perché costruirne uno unico significa sintetizzare in modo artificiale la complessità di una società. Naturalmente la Commissione evidenzierà anche aspetti tecnici, ma il messaggio politico principale, ancora più valido oggi visto il grave momento di crisi, è quello di ripensare a cosa determina veramente il progresso di una società e quindi sottolineare che una scelta intelligente di questi nuovi indicatori è quanto mai opportuna.

Non possiamo dimenticare l'impegno di solidarietà e i vincoli umanitari ed anche economici con i Paesi ad economia non capitalistica o meglio in via di sviluppo.
Quale nuovo rapporto, quindi, con i Paesi cosiddetti del Terzo mondo?

Questa tendenza a concentrarsi su indicatori di benessere non è presente solo nei Paesi sviluppati, ma si ritrova anche nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in quelli asiatici, dove diversi approcci filosofici, come il buddismo, richiamano l'attenzione proprio su questi aspetti non monetari di una società. In alcuni di questi paesi (Cina Tailandia, Bhutan) queste iniziative di misura del progresso di una società stanno prendendo piede, anche se il modo con cui si definiscono è diverso. In Cina, ad esempio, si parla di "Società armoniosa", in Tailandia di "Economia sufficiente", in Bhutan di "Felicità". Noi dell'OCSE preferiamo usare la definizione di "Progresso della società", basato sul concetto di benessere sostenibile ed equamente distribuito.


© AF, aprile 2009

foto dal sito: www.repubblica.it

Nessun commento:

Posta un commento