sabato 21 febbraio 2009

Lavoro e dignità dell'uomo


Il lavoro è il mezzo per conseguire dei beni spirituali (S. Agostino)? è una componente essenziale e strumento utile al miglioramento della società (Lutero)? o come tutte le altre attività umane è distrazione dalla miseria dell'esistenza umana(Leopardi)? Sono solo alcune concezioni del lavorare da cui possiamo partire e con le quali poterci confrontare, ma certo le società moderne industrializzate o post-industriali si ritrovano nella necessità di ridefinire questo concetto fondante l'uomo civile.
Perché siamo così inappagati, insoddisfatti, sfiniti, delusi amareggiati, costretti dopo pochi anni di lavoro, dopo poco tempo dall'aver conquistato un "posto di lavoro" anche se precario e dopo grandi ricerche e fatiche, a dover rimettere in discussione il nostro progetto lavorativo? Perché tante sono le insoddisfazioni e quasi nulla la prospettiva di profonda e vera realizzazione di se stesso e delle proprie potenzialità? Tutto il tempo, tutte le energie migliori, tutte le preoccupazioni vengono inevitabilmente; lo si voglia o meno, assorbiti dal mondo del lavoro, dalla necessità di produrre e di consumare per potere tenere vivo il bilancio dell'azienda (intesa in senso ampio) e un mercato economico perverso e distruttivo. L'uomo è persona nella sua complessità spirituale ed umana o solo cittadino lavoratore e consumatore?
In ogni ambiente di lavoro, sia esso privato,  pubblico, non profit, a finalità prettamente sociali o finanziarie, ciò che lo contraddistingue è: l'arrivismo, la competizione allo stremo, le ingiustizie di ogni sorta. Unico dato certo dal quale ogni organizzazione lavorativa non può sfuggire e al quale ogni scelta è preordinata è il bilancio economico e di conseguenza  la produzione e l'accumulo delle risorse finanziarie.
E' forse troppo pessimistica, questa pur breve, descrizione del mondo del lavoro, dei rapporti e delle dinamiche che tutti noi, uomini e donne dei Paesi occidentali o cosiddetti ad economia avanzata, indipendentemente dalla propria collocazione professionale e di specificità di settore, viviamo?
Un giovane, una persona all'inizio è angosciato dalla ricerca di una occupazione che gli permetta di base di poter sopravvivere e garantire a se stesso e alla propria famiglia una vita dignitosa, ma dopo averlo finalmente conquistato nascono dubbi, incertezze e profonde lacerazioni su come realizzare la propria vita, la propria dignità di essere umano, come dare senso al proprio tempo di lavoro permeato da tante contraddizioni, alienazioni e lacerazioni, al punto da distruggere la sua stessa sanità mentale, familiare, civile e sociale.
E' una condizione di grandi contraddizioni, senza per questo ignorare il problema della  disoccupazione di migliaia di giovani, o le profonde ingiustizie  e le dinamiche di sfruttamento che le economie dei Paesi avanzati determinano nei confronti dei Paesi del Sud del mondo o i pericoli di aggravamento delle condizioni di sfruttamento che una globalizzazione selvaggia e disattenta ai principi dei diritti umani e della solidarietà possa creare su scala planetaria. Senza ignorare il bisogno di alimentare sviluppo economico ed occupazione coniugandoli con l'idea di una economia sostenibile per le nostre società e per le risorse del nostro ambiente naturale.
Siamo al principio di una nuova ed epocale svolta culturale e sociale. L'affermarsi: del fenomeno della globalizzazione, di nuovi modelli di sviluppo economico, ma ancor di più della consapevolezza dei diritti della persona, della sua dignità e del bisogno di una giustizia sociale e umana vera e diffusa, sono alcuni degli elementi che ci fanno capire che il mondo ancora una volta è al crocevia di scelte ed orientamenti decisivi per lo sviluppo di una società solidale, civile ed umana. Una società ove ogni essere umano è riconosciuto nella sua unicità e quale soggetto portatore di ricchezza umana, sociale intellettuale e spirituale che può arricchire il cammino di questa umanità.
Apparteniamo da meno di due secoli, a società fondate sul lavoro, e ciò significa che il lavoro, se da una parte è divenuto il principale mezzo di acquisizione del reddito che consente agli individui di vivere, dall'altra è divenuto un rapporto sociale fondamentale. Solo oggi, in cui vediamo rimesso in discussione il normale funzionamento della società in cui viviamo, le incertezze sull'impiego a tempo pieno per tutti, la possibile paralisi dello sviluppo economico e le impossibilità di una piena realizzazione dell'uomo nel mondo del lavoro sconvolgono certezze che ci sembravano evidenti. L'utopia legata alla società del lavoro ha esaurito la sua forza di persuasione.
Abbiamo assistito nel XIX secolo alla riduzione della cultura al "lavoro". Il lavoro si trova improvvisamente investito di una nuova serie di attese: la produzione diventa il centro della vita economica e sociale  e il lavoro il medium privilegiato attraverso il quale la società si esprime. La produzione non è soltanto lo strumento per soddisfare i bisogni materiali, ma anche quello per valorizzare e portare alla luce tutte le potenzialità.
Mai prima di allora si sarebbe osato considerare la produzione di beni e servizi come il modo più elevato  di "civilizzare " il mondo.
La valorizzazione del mondo e dell'uomo si presentava fino a quel momento, sotto una pluralità di dimensioni: l'arte, la religione, la morale, le istituzioni, la politica, il ragionamento e il sapere che ne costituivano altrettanti possibili approfondimenti.
L'esito di questo sviluppo è duplice: innanzitutto, un uomo ridotto a semplice "sfondo" determinato dall'esterno, un insieme di capacità naturali esibite soltanto in funzione della domanda sociale. L'individuo si riduce a semplice materia, per dar forma alla quale egli investe la propria giovinezza per ricavarne in seguito un reddito. Il sistema educativo si trasforma in dispositivo in grado di modulare le capacità naturali dell'individuo per raggiungere la qualificazione e la formazione è concepita in funzione della qualificazione sociale o professionale che permetterà. La migliore formazione, quindi, è quella che modella le capacità nel modo più adeguato al futuro mestiere oppure quella che rende le capacità più plastiche. L'antichità e il Medioevo avevano vietato il commercio delle capacità umane, ritenendo che fosse indegno dell'uomo sviluppare le proprie capacità esclusivamente per trarne un guadagno e che al contrario la formazione e l'educazione dovessero essere l'atto più libero da ogni considerazione estrinseca. Oggi, le capacità umane sono sviluppate soltanto in funzione dell'utilizzazione e del reddito che permetteranno in futuro. Gli individui sono costretti ad utilizzare se stessi come mezzi di sussistenza e mobilitano le proprie capacità in questa prospettiva. La società decide così delle capacità che l'individuo dovrà sviluppare  e di quelle che dovrà abbandonare.
L'altro termine di tale sviluppo è una società di servizi in cui ciascuno si presenta come una capacità modellata esclusivamente in funzione dell'utilità dell'altro. Un certo numero di riflessioni attuali predice o auspica una società in cui l'industria sarebbe ridotta allo stretto necessario - l'attività di trasformazione e produzione dei beni materiali verrà svolta da macchine e sistemi automatizzati, oppure trasferita in altre sedi, oppure ancora lasciata nella mani dei Paesi meno ricchi - mentre l'ottanta percento o più degli addetti sarà impiegato nei servizi. In queste riflessioni i servizi costituiscono la forma più compiuta che può prendere una società.
Ma questi non solo che solo alcuni elementi che sconvolgono il nostro modo di essere e il nostro ruolo nella vita sociale e culturale. Ecco quindi che il lavoro si inserisce in maniera forte nella domanda di senso di cui la nostra epoca è avida ed occorre riportare al pubblico dibattito riflessioni sul lavoro, di natura filosofica e culturale in senso ampio, antiche e recenti.

© AF, aprile 2003

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