lunedì 25 agosto 2008

Nomadelfia, città di fraternità


C'è una Nomadelfia nel cuore di ciascuno di noi?
Un luogo o una città dove ci siano fraternità, amore, rispetto e condivisione? Dove ogni vita abbia un valore e un senso? Dove ci sia accoglienza per tutti, anche per il non desiderato, il rifiutato o chi è considerato "uno scarto"?

Sono sicuro che nei momenti speciali della nostra vita ciascuno di noi ha sperimentato questo desiderio: "la possibilità di una Nomadelfia".  Ma poi la vita e il mondo ti avvolgono e "l'isola che non c'è" rimane tale.
Un tentativo, forse unico al mondo e nella storia, che resiste da oltre sessanta anni e che testimonia una possibilità altra, vera, reale e concreta. "Un popolo" con le sue varie componenti: famiglie, figli, persone non sposate, sacerdoti, che vive come una comunità ispirandosi ai valori del Vangelo e che condivide totalmente ogni aspetto della vita: lavoro, educazione, cultura, governo della città, religione.

La prima pietra di questa città viene posta da un prete ribelle - ispirato dall'ideale di un cristianesimo alto, così come era vissuto dalle prime comunità di apostoli - il 6 gennaio 1931, quando nel Duomo di Carpi celebra la sua prima Messa ed accoglie come figlio Danilo, un giovane di 17 anni, appena uscito dal carcere.
Nomadelfia giorno dopo giorno cresce e si fa vita e popolo comunitario, non senza subire ostilità ed avversione dal potere politico e finanche da una parte consistente delle autorità ecclesiastiche, perché proposta politica e comunitaria troppo pericolosa in un momento storico di forte contrapposizione ideologica.

Un momento importante, e che segna la svolta nei tentativi di Don Zeno Saltini di costituire un popolo che viva in piena fraternità, è il 19 maggio del 1947.
Con alcune famiglie e centinaia di orfani occupa pacificamente l'ex campo di concentramento di Fossoli, dopo averne atteso invano dal governo la concessione, e lo trasforma in quella che sarà la loro nuova città "dove la fraternità è legge", ossia in Nomadelfia.
Negli anni a seguire diventa intensa l'azione di rinnovamento sociale, politico e religioso di don Zeno attraverso scritti, discorsi e la nascita del "movimento della fraternità umana".
Le avversioni politiche aumentano, Nomadelfia diventa pericolosa perché non è più solo "l'oasi della bontà" o la città dove gli orfani ritrovano la famiglia, ma anche e soprattutto una proposta di vita che interroga e provoca la società che la circonda, attraverso la sollecitazione al ritorno a una fede più concreta e coerente vissuta in ogni momento della quotidianità, e una proposta politica che supera gli schieramenti e che va verso una forte giustizia sociale e una partecipazione democratica diretta.
La situazione precipita e nel 1952 Nomadelfia subisce uno smembramento da parte delle autorità. Le famiglie vengono rispedite alle proprie case e i figli affidatari allontanati e distribuiti in diversi istituti ed orfanotrofi dell'Italia. Don Zeno subisce un processo per truffa e millantato credito, che si conclude con la piena assoluzione di lui e dei Nomadelfi.
Nel 1954, anche grazie alla generosità di un’appartenente alla famiglia Pirelli, la città si ricostruisce, nelle sue strutture materiali, vicino a Grosseto,  dove ancora oggi circa trecento Nomadelfi vivono ed operano in undici gruppi familiari; mentre migliaia sono quelli cresciuti in questa realtà e che ora vivono e lavorano sparsi in tutto il Paese.
Una città, con una propria Costituzione e che si rifà agli insegnamenti della Chiesa, che nella società e nei rapporti umani ed economici tenta di realizzare una strada diversa, fondata sulla fraternità, sulla solidarietà e sull'accoglienza. Una Repubblica democratica - amano definirla i Nomadelfi - a partecipazione diretta, nella quale tutti i membri riuniti in assemblea approvano le leggi, prendono le decisioni più importanti, rinnovano le cariche istituzionali.  Una città dove non circola denaro e non c'è alcuna forma di proprietà privata, ma solo l'uso dei beni; dove ognuno ha da mangiare, da dormire, da studiare, da lavorare ed è disponibile sempre a un impegno per gli altri, in qualsiasi forma venga richiesto dagli organi competenti. Dove ogni impegno è pensato e realizzato per soddisfare un ideale comunitario di solidarietà e di fraternità.

"Non è un'isola felice, separata dal mondo - mi dice Carlo – ma, al contrario, è una realtà vera, umana, dentro la realtà storica, civile e religiosa del nostro paese e del mondo. Accoglie circa dodici mila persone all'anno, porta valore, senso, significato e testimonianza in ogni momento dentro e fuori del nostro piccolo territorio".
Non si nasce Nomadelfi, ma lo si diventa per libera scelta. Coloro che desiderano diventarlo, compresi gli stessi figli dei componenti, all'età di 21 anni devono chiedere di essere ammessi a un periodo di prova della durata di tre anni. Al termine, se accettati, firmano la Costituzione sull'altare, davanti a tutto il popolo. Chi si fa Nomadelfo si impegna tutta la vita a una vita per gli altri, a una vita fondata sulla generosità, sulla comunione fraterna dei beni e sulla fede cattolica. Tuttavia è libero di ritirasi in qualsiasi momento.
Essere Nomadelfo non è una scelta che si fa una volta nella vita, al contrario, va rinnovata ogni giorno. Gli ideali di fraternità e di servizio in famiglia e in comunità, la sobrietà, la paternità e la maternità ogni giorno chiedono di essere accolti, testimoniati in coerenza con la propria coscienza e la propria fede. E' questo, un concetto chiaro e vissuto nella propria esperienza di vita da tutti i membri della comunità.
"A volte ho la precisa sensazione - mi dice Francesco, vicepresidente, arrivato a Nomadelfia 20 anni fa per trascorrervi un anno di riflessione e discernimento, ma poi rimasto poiché questa è la vita che più lo interessa e che più gli offre significatività - che questa testimonianza sia ancora oggi un seme che porta frutti nella vita delle tante persone, dei giovani che per curiosità, per cammino di fede, per ricerca di senso della vita o altro incontrano o visitano la nostra realtà".

Don Zeno Saltini, quando concepisce il primo nucleo di Nomadelfia, aveva chiara l'idea di realizzare un piccolo popolo comunitario capace di testimoniare e vivere l'amore fraterno, gratuito, disponibile, generoso per poter scuotere dalle fondamenta e poter rinnovare una società fondata sull'egoismo e sulla competizione, niente affatto rispettosa del seme divino presente in ciascun essere umano.
Il governo della città, l'educazione, il lavoro, la scuola, la proposta di vita di comunitaria, la cultura, l'accoglienza dei figli abbandonati o scartati dal mondo (dal 1931 ad oggi sono circa 5.000 i ragazzi abbandonati che sono stati accolti come figli in Nomadelfia):  tutto è fondato sulle madri e i padri di vocazione e sulle famiglie di sposi che vivono in gruppi familiari di tre o quattro famiglie.
In una casa centrale hanno in comune una sala da pranzo, la cucina e i laboratori, mentre le camere da letto sono tutte intorno in casette separate.. Per evitare che il gruppo familiare diventi a sua volta un centro di egoismo e per essere disponibili a vivere con tutti e a distaccarsi dalle cose, ogni tre anni i gruppi si sciolgono e si ricompongono con altre, famiglie degli altri gruppi. Ciascuna famiglia, naturalmente, rimane unita e porta con sé soltanto gli effetti personali.

Uno dei principi fondamentali del popolo nuovo è costituito dalla "paternità e maternità in solido", cioè gli uomini e le donne sono tenuti ad esercitare la paternità e la maternità su tutti i figli, anche quelli che non appartengono alla loro famiglia. Devono trattarli alla pari dei figli naturali ed adottati (ma nessuno fa questa distinzione tra "naturale" e "adottato") e amarli, curarli ed intervenire nell'educazione di tutti.
Le novità organizzative della città sono tante, difficili da raccontare in breve, ma ognuna di essa concorre a dare forma all'idea di un popolo comunitario capace di testimoniare una fraternità umana coerente con lo spirito e l'esempio proposto dal Vangelo.
"Un piccolo popolo - mi dice Pietro, presidente della città, 36 anni passati a Nomadelfia, sposato, 19 figli - che tenta di costruire una civiltà nuova fondata sui valori del Vangelo così come ci è stato ispirato dal Fondatore. Una città dove il tema dell'accoglienza dei figli abbandonati è centrale così come i gruppi di famiglie che vivono insieme nell'ideale di costituire un'unica famiglia".

© AF, marzo 2007

bibliografia:
Nomadelfia: Un popolo nuovo, Nomadelfia edizioni.
Don Zeno Saltini: L'uomo è diverso, Nomadelfia edizioni.
Don Zeno Saltini: Dirottiamo la storia, Nomadelfia edizioni.
Don Zeno Saltini: Del rapporto umano, Nomadelfia edizioni.
Don Zeno Saltini: La rivoluzione sociale di Gesù Cristo, Nomadelfia edizioni.

www.nomadelfia.it

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